Tra le quattro preoccupazioni esistenziali che maggiormente sono in grado di produrre disagio e sofferenza nella vita dell’uomo, l’analista americano e scrittore Irvin D. Yalom colloca inevitabilmente al primo posto la morte. Nel suo testo “Psicoterapia Esistenziale” propone alcune approfondite riflessioni proprio su questo tema, che nell’uomo, da sempre, produce profondi timori.
Yalom affronta il tema della morte da una prospettiva esistenzialista. Non si inoltra in analisi di tipo filosofico – spirituali, ma riesce ad arricchire i suoi contenuti con argomentazioni in grado di suscitare riflessioni che, più che al senso della morte, conducono alla necessità di porsi profondi interrogativi sul senso della vita.
L’esperienza della morte non può essere ignorata. Per quanto nella nostra quotidianità ci possiamo impegnare a rimuovere questo pensiero dalle nostre vite, esiste per tutti un momento in cui siamo costretti dalle circostanze ad osservarla da vicino.
Ciò che dovremmo fare, secondo l’autore, è proprio rinunciare alla resistenza che opponiamo alla consapevolezza della presenza della morte nelle nostre vite. Questa negazione ci priverebbe dell’opportunità di assaporare la vita a livelli più profondi e ricchi di significato. Queste sue parole (tratte dal già citato testo) definiscono questo concetto con maggiore chiarezza e precisione:
“Una negazione della morte a qualsiasi livello è una negazione della nostra natura di base, e genera una restrizione via via sempre più pervasiva della consapevolezza e dell’esistenza. L’integrazione dell’idea di morte ci salva; invece di condannarci a esistenze di terrore o di cupo pessimismo, agisce come un catalizzatore per immergerci in modalità di vita più autentiche, e accresce il nostro piacere nel vivere la vita”.
Non esiste un soggetto del quale il saggio si preoccuperà meno di quello della morte.
Baruch Spinoza
Esperienza della morte e supporto psicologico
Trattandosi di una delle più importanti angosce esistenziali, è del tutto normale che l’argomento della morte possa divenire oggetto di confronto nel corso dei colloqui con lo psicologo. La morte può riguardare una persona cara, ma può essere anche manifestata come timore di fronte al proprio ineluttabile destino.
In entrambi i casi essa può generare molta sofferenza, può generare angoscia e scatenare pensieri di vario tipo. Ed è per questo che Yalom raccomanda sia ai pazienti che agli psicologi di non indietreggiare di fronte alla necessità di affrontare, quando necessario, il tema della morte. Riconoscere questo aspetto come componente inevitabile della nostra vita, incoraggia una riflessione sul valore dell’esistenza stessa e sul modo per adempiere al meglio ciò che ne nostro cuore si manifesta come “vocazione”. Egli afferma infatti che:
“… il concetto di morte svolge un ruolo cruciale nella psicoterapia perché svolge un ruolo cruciale nell’esperienza della vita di ciascuno di noi. La morte e la vita sono interdipendenti: anche se la fisicità della morte ci distrugge, l’idea della morte ci salva. Il riconoscimento della morte fornisce un senso di pathos alla vita, procura un cambiamento radicale alla prospettiva della vita e può trasportare una persona da una condotta caratterizzata da distrazioni, ottundimento e angosce meschine a una condotta più autentica.
Si tratta dunque, come egli afferma, di avere il coraggio di “incorporare la morte nella vita”, creando un luminoso spazio di consapevolezza interiore grazie al quale arricchire la vita e liberarsi dalle banalità soffocanti. Per quanto la morte possa essere fonte primaria di angoscia, una progressiva accettazione della sua idea nella nostra coscienza promuove un cambiamento importante, verso un vissuto più autentico e deciso.
… Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto.
Dalai Lama
Rimozione e confronto con l’idea della morte
Del medesimo avviso sembra essere anche Eugenio Borgna, che nei suoi numerosi scritti ha affrontato la sofferenza umana con una delicatezza e una profondità di rara bellezza. Nel testo “L’Arcipelago delle Emozioni” dedica un intero capitolo proprio ad una riflessione sul tema della morte.
Anch’egli si dice convinto del fatto che l’esperienza della morte è stata in qualche modo rimossa dalla coscienza dell’uomo moderno, senza però, ovviamente, riuscire efficacemente nell’intento: “se la rimozione della morte sembra essere una caratteristica della coscienza contemporanea, la rimozione del morire è esperienza molto più difficile da realizzare”.
Borgna afferma inoltre che la coscienza umana moderna tende ad allontanare tutto ciò che non sembra avere possibili soluzioni nell’ambito del divampare della tecnica. Ma l’idea della morte permane nel cuore profondo della condizione umana, indipendentemente dai tentativi di mimetizzarla o rimuoverla.
Quando la morte di una persona cara fa la sua comparsa nella nostra vita ci pone di fronte all’inevitabilità di una riflessione sulla nostra stessa natura di esseri mortali. E come afferma Borgna nello stesso testo “ci si sente, allora, sperduti e sommersi dalla solitudine, e dall’angoscia; sprofondati nel deserto di una vita che non ha più senso. Il dialogo (il dialogo che è il nostro destino) con una persona che non c’è più, si è spezzato una volta per tutte; e di essa non sopravviene se non il ricordo delle cose che si sono fatte insieme e che si sono immaginate insieme; delle cose che si aprivano ogni giorno a una speranza condivisa, a un futuro non individuale ma impersonale”.
Di fronte alla morte della persona cara proviamo un senso inquietante di estraneità. Ma è un’estraneità che egli definisce “rapace”, che ci rende estranei a noi stessi. “Come se il nostro vivere non fosse se non il nostro morire; come se ci fosse impossibile vivere dinanzi al morire dell’altro: della persona che stava vicino a noi e che ora non prende parte alla vita: alla nostra vita e alla vita degli altri”.
Dolore e trasformazione interiore
Afferma ancora Eugenio Borgna che la morte di una persona cara è un’esperienza di profonda trasformazione interiore. Citando Pirandello, scrive infatti che una persona amata continua a vivere nella memoria e nel cuore, nel segreto dell’interiorità, vivente e palpitante come lo era in vita.
Siamo noi però a non essere più le stesse persone. Non siamo più aiutati. Non siamo più immersi nella “comunità di destino (nella reciprocità degli sguardi e dei silenzi, delle assenze e delle presenze) che aveva segnato la nostra vita”. L’esperienza della morte, quando riguarda una persona a cui si era legati, lascia in noi un carico di emozioni che non vorremmo mai doverci trovare ad affrontare. Non vorremmo mai dover essere pronti a tutto questo.
Eppure, ogni esperienza dolorosa, sotto qualsiasi forma essa si presenti, è sempre prima di tutto un’esperienza di grande valore umano. E mi sento di poterlo confermare personalmente, avendo avuto il privilegio di poter osservare quanta dignità, saggezza e consapevolezza alcune persone possono mostrare di fronte a grandi prove. Non vi è un dono più grande di quello di poter osservare un cuore infranto che trova il coraggio di ritornare a pulsare in pienezza, bellezza e libertà.
Tra le persone colpite da un grande dolore, alcune hanno la capacità di rinascere dal loro tormento e di testimoniare il desiderio di valorizzare la preziosità della vita, in ogni singolo istante. E a queste persone dobbiamo un insegnamento di straordinario valore umano e spirituale.