Non è la prima volta che si parla del tema del destino nelle pagine di questo sito. Sono stato recentemente incuriosito da un articolo trovato in rete su una riflessione di Carl G. Jung sull’opportunità o meno di cambiare il destino di altre persone.
Credo prima di tutto che sarebbe più interessante chiedersi di quanta saggezza ed effettivo potere disponiamo per cambiare almeno il nostro, prima di quello altrui. Ma la riflessione di Jung riguardava specificamente il suo lavoro di analista.
In sostanza, il celebre psichiatra svizzero affermava che non è corretto imporre al paziente la propria volontà e le proprie convinzioni. Dovrebbe essere sempre lasciato un certo margine di libertà.
Ma la questione più impegnativa su cui Jung si sofferma è se sia lecito “salvare” una persona dal destino verso cui sembra incamminata. A suo avviso, la vita offre sempre alle persone determinate opportunità di sviluppo psichico personale, ma se ci si intromette l’individuo non ha alcun merito in questo. Semplicemente, lo si priva di un’importante opportunità “formativa” esistenziale.
Giustamente, afferma Jung (1), “il nostro sviluppo psicologico può veramente progredire soltanto se ci accettiamo quali siamo e se viviamo con il necessario impegno la vita che ci è stata affidata”.
Più complessa da comprendere nella sua autenticità appare invece la continuazione di questa riflessione: “I nostri peccati, errori e colpe sono necessari, altrimenti saremmo privati dei più preziosi incentivi allo sviluppo. Se, dopo aver sentito qualcosa che avrebbe potuto cambiare il suo punto di vista, un uomo se ne va e non ne tiene alcun conto, io non lo richiamo indietro”.
E qui si apre una complessa questione che riguarda senza dubbio il lavoro dello psicologo, ma inevitabilmente anche molti altri ambiti professionali, come quello educativo, scolastico, ecc., senza dimenticare il difficile “mestiere” dell’essere genitore, che non può evitare questo dilemma.
Dobbiamo davvero osservare con distacco le vite altrui in nome della necessità di tutti di fare le proprie esperienze? Credo, personalmente, che la questione non possa essere posta in maniera così dicotomica (bianco o nero) o semplicistica. Ciascun essere umano, ciascuna esperienza di vita, ogni singola conseguenza del nostro agire, sono eventi distinti. Richiedono inevitabilmente una valutazione singola e soggettiva.
Per decidere se intervenire o meno nel “destino” di un’altra persona, o se rinunciare a farlo per non interferire con la possibilità riservata a ciascuno di crescere tramite le proprie esperienze di vita, errori compresi, è necessaria molta saggezza. Non si può stabilire una regola generale.
A volte, evitare ad una persona di andare incontro al proprio “destino” può salvarla da un problema immediato, ma avere disastrosi effetti nel lungo termine. In altri casi, rinunciare con troppa facilità ad aiutare una persona a riflettere sulle conseguenze del proprio agire in nome della libertà personale e dell’utilità delle “lezioni della vita” può essere semplicemente una scelta di comodo.
Tale nostro comportamento dovrebbe indurci a considerare le nostre vere intenzioni: stiamo davvero agendo per il bene della persona? Oppure siamo semplicemente guidati da un personale disinteresse?
In sostanza, in linea di principio possiamo senza dubbio considerare l’osservazione di Jung come appropriata: non abbiamo alcun diritto di ostacolare il percorso di vita di un altro essere umano. Cambiare il destino verso cui sembra camminare a grandi falcate può davvero privarlo del diritto sacrosanto di apprendere le importanti lezioni dell’esperienza.
Non è infatti difficile comprendere, con il passare dei nostri anni, che nulla sembra essere più “formativo” delle esperienze dolorose. Ma di sicuro questo principio generale non è universalmente valido.
Lo ho visto più volte applicare solo per risentimento, o per biasimo, o per semplice disinteresse verso l’altra persona, in totale assenza di amorevole considerazione per le conseguenze dell’inevitabilità o della necessità dell’esperienza.
Così come, al contrario, ho potuto osservare gli effetti dei costanti tentativi effettuati da altre persone di sottrarla al proprio destino, con il risultato di averla protetta dagli eventi avversi, ma di averla anche resa sempre più fragile e insicura.
Andrebbe poi considerato anche l’arrogante atteggiamento di chi ritiene di avere così tanto potere sulla vita di altri individui. Chi si colloca in questa prospettiva potrebbe, del tutto inconsapevolmente, essere semplicemente parte di quel destino altrui che illusoriamente ritiene di poter cambiare grazie alla propria volontà e al potere della propria influenza.
In quest’ottica, questo fenomeno risulta senza dubbio meno affascinante dal punto di vista del bisogno di gratificazione personale che tendono ad avere questi individui.
In conclusione, è davvero indispensabile essere dotati di grande saggezza, intuito, interesse sincero ed enorme empatia prima di decidere se interferire significativamente nel destino di un’altra persona.
Intervenire per evitare gravi conseguenze, o non farlo per permettere al “destino” di impartire un’importante lezione esistenziale implica indistintamente l’assunzione di una certa responsabilità. Non possiamo semplicemente effettuare questa scelta sulla base di una regola convenzionale. Dovremmo sempre agire in conformità con il saggio desiderio del massimo bene per la persona, qualsiasi esso possa essere.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) – Fondamenti di Psicologia analitica, IV Conferenza, 1935