Di norma il termine paziente è riservato alla persona che necessita dell’assistenza delle cure prestate da personale medico. Molto frequentemente è però utilizzato anche per indicare la persona che richiede un intervento di supporto psicologico. Come è forse noto ai lettori degli articoli in questo sito, amo dedicare particolare spazio alle questioni che definiscono la Psicologia come una forma di dialogo con l’anima della persona.
Una Psicologia al servizio dell’anima
Non si tratta naturalmente del concetto di anima come comunemente definito nei contesti religiosi, ma riguarda comunque tutti quegli aspetti che tentano di definire le insondabili profondità e le sublimi altezze in cui il Sé umano è in grado di spaziare.
Come è dunque possibile utilizzare il termine ‘paziente’ in contesti in cui il focus principale è sul ruolo della persona quale individuo alla ricerca di un dialogo sincero con le proprie più sottili interiorità?
Sono in molti oggi a chiedersi se in effetti la psicologia non stia assumendo un’impronta un po’ troppo ‘medica’ ed orientata alla sola cura della patologia, più che alla considerazione della persona nella sua richiesta di essere accolta nella sua unicità, spontaneità, bellezza.
Personalmente, rimango della convinzione che una buona tecnica e una base formativa strutturata su moderni percorsi ‘evidence based‘ possa coesistere in maniera del tutto naturale con un atteggiamento dello psicologo basato su ‘qualità umane‘ che lo definiscono come individuo caratterizzato da grande empatia e attenzione al mondo interiore dell’altro, dalle più oscure profondità, alle più elevate vette della trascendenza psico-spirituale.
Ampliare il significato del concetto di ‘Paziente’ in Psicologia
Il termine paziente è di norma definibile nell’ottica del suo significato etimologico. Deriva infatti dalla parola latina “patiens”, colui che soffre, che sopporta. E questo è per lo più il significato con cui lo si intende in ambito medico. Anche in ambito psicologico molte persone soffrono, e assumono lo stato di “paziente” così inteso.
Alcuni psicologi preferiscono la definizione di “cliente”, rifacendosi per lo più all’impostazione introdotta da Carl Rogers, che si fece promotore di un approccio umanistico in cui la persona richiedente aiuto assume un ruolo attivo, partecipe e responsabile nel processo di “guarigione”. L’individuo, accompagnato dallo psicologo, si impegna a dedicare le proprie energie alla scoperta del proprio potenziale inespresso, e nel desiderare attivamente la propria autorealizzazione.
E questo è un aspetto che, nel mio lavoro di psicologo, mi sta molto a cuore. Qualunque sia il modo in cui la persona che richiede aiuto ad uno psicologo può essere definita, la questione essenziale è come viene accolta, come viene “vista”, come viene considerata.
Paziente o cliente, poco importa se alla fine l’obiettivo del percorso psicologico da fare assieme è quello di mettersi alla ricerca delle qualità più autentiche del proprio Sé più elevato. Poco importa se alla fine ciò che si crea assieme è la costruzione di un senso.