Il corso della vita di ciascuno di noi conduce non di rado a porci qualche domanda sul senso degli eventi, e inevitabilmente emerge qualche riflessione su destino e libero arbitrio. Appaiono con sempre maggiore frequenza (ad esempio sui social network) slogan dedicati alla totale controllabilità del proprio destino: “siamo gli artefici del nostro destino…”, “la mente crea la realtà…”, ecc.
Si tende in sostanza a pensare che la nostra vita sia una “tabula rasa” sulla quale il corso degli eventi viene tracciato o in maniera del tutto casuale o del tutto corrispondente alle nostre abilità a seconda del livello della nostra autoefficacia percepita.
Ci sono persone la cui esperienza di vita ha fatto sorgere in loro la convinzione che qualunque cosa facciano, indipendentemente dallo sforzo e dalla volontà individuale, la vita andrà comunque come deve andare. Altre persone hanno invece la convinzione che tutto dipende dalla propria volontà e dalla determinazione con cui si perseguono gli obiettivi.
Ciascuno tende a rimanere fedele alla propria convinzione, spesso perchè una verità analizzata più lucidamente può essere difficile da accettare, per questioni di necessità o, banalmente, semplicemente di comodo. Molte persone rinunciano a cercare di migliorare la propria vita solo perchè la lotta è faticosa, o richiede sacrifici, o costringerebbe a mettere in discussione le proprie certezze. Queste persone preferiscono incolpare il destino, gli altri, la sfortuna, il caso, ma non hanno alcuna intenzione di affrontare la vita con volontà e responsabilità.
“Si nasce sempre sotto il segno sbagliato e stare al mondo in modo dignitoso vuol dire correggere giorno per giorno il proprio oroscopo.”
Umberto Eco
Altre persone, di temperamento più determinato e creativo, non hanno di norma alcuna intenzione di accettare una visione della vita che preveda l’esistenza di fattori che sfuggono al proprio controllo e al proprio potere personale condizionante. E talvolta non accettano nemmeno di credere all’esistenza di qualcosa che suoni vagamente come un destino, nemmeno di fronte all’evidenza del precipitare nella loro vita di eventi imprevisti, imprevedibili e di fronte ai quali si scoprono assolutamente impotenti.
Queste persone hanno senza dubbio scoperto che, effettivamente, molto può cambiare nella vita quando ogni fibra del proprio essere tende verso un preciso scopo ed è supportata dal potere della volontà. Sono senz’altro su una strada migliore rispetto a coloro che difettano sia di volontà che di visione, ma forse la vita ci richiede di afferrare qualcosa di ancora più sottile.
Forse l’inevitabilità di certe situazioni, altro non dimostra se non che tutto ciò che possiamo fare è prepararci ad accogliere la vita, con tutta la sua imprevedibilità, con la miglior predisposizione di animo possibile. Il buon senso suggerisce infatti che pensare di avere il controllo totale sugli eventi che caratterizzano la nostra esistenza altro non sia che una pericolosa illusione. Mai però altrettanto pericolosa quanto la convinzione (ugualmente illusoria) di non avere alcun potere di cambiamento sulla nostra realtà, spesso sperimentata da persone dalla volontà debole o caratterizzate da stati depressivi.
La moderna Psicologia, figlia del positivismo ottocentesco, non può che sorridere di fronte alla credenza nell’esistenza di qualcosa definibile come destino, data la sua inaccettabilità da un punto di vista scientifico. A bene guardare però, molte teorie psicologiche tra le più diffuse descrivono l’uomo come frutto di una complessa interazione tra ereditarietà ed ambiente.
E in un certo senso ciò equivale a dire che il comportamento umano sarebbe pre-determinato da tutto ciò che influenza lo sviluppo della persona o che è presente sotto forma di fattori ereditari. Uno dei fondamenti della psicoanalisi classica indirizza verso la medesima conclusione, descrivendo però ciò che determina il destino dell’uomo come una formazione di compromesso tra le pulsioni emergenti dall’inconscio e i limiti alla relativa soddisfazione che poniamo a noi stessi.
Riflettendo su tutto questo è però facile rendersi conto che si sfugge dal vero senso della questione. Una Psicologia che si voglia porre in un’ottica Umanistica o Transpersonale, rinuncia in partenza a speculare su questioni come queste, per focalizzarsi sull’aspetto più importante.
Ciò che più conta infatti è il modo con cui possiamo reagire agli eventi della vita, siano essi determinati da qualcosa definibile come “fato” o dalla pura casualità. In questo senso potremmo definire destino come tutto ciò che nella vita non possiamo evitare di affrontare, tutto ciò che, indipendentemente dalla nostra volontà, ci viene posto di fronte e con cui dobbiamo inevitabilmente avere a che fare. Poco importante è, da questo punto di vista, se davvero ciò è frutto del caso o di “predestinazione”.
Molto più importante è invece comprendere il senso che possiamo attribuire al concetto di “libero arbitrio”. Personalmente, amo definirlo come una scelta consapevole, totalmente nelle nostre mani; la scelta di poter affrontare nella maniera più evolutiva, responsabile e consapevole gli eventi che la vita ci pone di fronte. Il libero arbitrio, in quest’ottica, si configura come una dimostrazione da parte nostra di saggezza (o del suo opposto) nel saper accettare il fato alla luce di ciò che si cela nel nostro animo più sublime, realizzando noi stessi nella pienezza più nobile ed elevata che ci appartiene. Un concetto piuttosto vicino a quello di “Dharma” nella filosofia induista.
In altri termini, non sappiamo se determinate circostanze, favorevoli o sfavorevoli, che accadono nella nostra vita siano frutto del caso o del destino. Ciò che possiamo però fare è esercitare il nostro diritto al “libero arbitrio”, ovvero scegliere se affrontare questi accadimenti in maniera da trarne un grande insegnamento e una grande saggezza di vita, oppure rinunciare a tutto questo e lasciare che ad agire nella nostra vita siano reazioni istintive, meccanicistiche o emotivamente predeterminate.
Di fronte ad un evento “difficile” possiamo maledire la vita, incolpare qualcuno, autocommiserarci o semplicemente rassegnarci. Ma questa reazione non fa parte di ciò che eravamo “destinati” a vivere sotto forma di evento avverso. Il nostro modo di reagire ad esso è totalmente nelle nostre mani, è una nostra precisa responsabilità. Possiamo “accendere una lanterna” o “maledire l’oscurità”, ma siamo noi a decidere di farlo.
La via di minor resistenza ovviamente ci spinge verso la seconda possibilità, ma a questo non siamo certamente destinati. Una psicologia realmente “spirituale” deve essere pronta oggi a saper guidare una persona nel percorso di ricerca all’interno del proprio “cuore” della modalità più saggia di reagire a tutto ciò che la vita ci propone. Fino ad arrivare al punto in cui gli ostacoli sono percepiti più come opportunità, che come avversità.
Lo Psicologo che abbraccia questo tipo di prospettiva conosce quanto complesse possano essere le vie che l’uomo sceglie per giungere alla rivelazione del proprio potere e della propria bellezza interiore. Il suo compito è proprio quello di guidarlo in questo percorso verso la scoperta di se stesso, trasformando i suoi dubbi in intuizioni, il suo dolore in consapevolezza, gioia e pienezza di vita.