Epidemia di solitudine. Problema o opportunità?

Il problema dell'epidemia di solitudine e la necessità di un ripensamento del significato delle nostre relazioni personali
Epidemia di solitudine. Problema o opportunità
Epidemia di solitudine. Problema o opportunità?
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L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) qualche mese fa ha definito il problema della solitudine come una vera e propria epidemia diffusa a livello globale, indicandone le profonde conseguenze sul benessere fisico, psicologico e sociale degli individui. Il problema dell’epidemia di solitudine sembra dunque espandersi parallelamente e paradossalmente al crescere dell’iperconnessione digitale, che, evidentemente, non riesce a soddisfare quel genuino e fondamentale bisogno di connessione personale, condivisione, ascolto e comprensione reciproca.

Va innanzitutto precisato che parlare di epidemia di solitudine non significa necessariamente fare riferimento ad una condizione di isolamento fisico. Quest’ultimo senza dubbio aggrava la situazione, ma spesso è possibile esperire una condizione di solitudine anche quando manca un genuino senso di appartenenza, di scambio o di connessione significativa con le persone del nostro ambiente. E tutto questo genera un sentimento di alienazione.

Possibili cause dell’epidemia di solitudine

Quando si parla della solitudine oggi si tende spesso a fare riferimento alla frammentazione delle strutture sociali tradizionali derivante delle necessità che il mondo contemporaneo impone. Un mondo sempre più globalizzato e tecnologicamente evoluto offre grandi opportunità di sviluppo individuale, ma favorisce anche l’instaurarsi nelle persone di condizioni emotive disagevoli.

A farne le spese sarebbe dunque prima di tutto la qualità dei legami umani. Senza contare il fatto che non di rado la manifestazione di bisogni emotivi come sensibilità, vulnerabilità o ricerca di vicinanza viene percepita come segno di debolezza e di mancanza di adattamento e affidabilità.

Non possono naturalmente mancare osservazioni sui modi in cui vengono utilizzate le nuove tecnologie, con particolare riferimento ai social media. Se questo vale indubbiamente per le nuove generazioni, è un problema che non può non sfiorare anche persone in età più avanzata. Sugli effetti positivi e negativi di queste nuove opportunità di connessione continua sono state scritte molte pagine, ma non è su questo che mi vorrei soffermare.

Solitudine e opportunità

Parlare oggi di epidemia di solitudine significa nei fatti riconoscere l’impatto negativo sulla qualità della vita di chi si trova a sperimentare questa condizione. Non sembrano esserci infatti particolari dubbi sul fatto che un vissuto di solitudine possa far emergere emozioni dolorose.

Forse potremmo comunque fare qualche riflessione su che cosa stia accadendo all’essere umano in generale e che cosa possiamo attenderci per il futuro. Da quanto possiamo osservare, l’impatto delle nuove tecnologie non sembra destinato a diminuire negli anni a venire. L’arrivo di tecnologie come l’intelligenza artificiale fa piuttosto pensare che questo impatto non potrà che espandersi in maniera rapida, globale e con risvolti oggi del tutto imprevedibili.

I cambiamenti culturali, relazionali, e filosofico-spirituali che attendono l’umanità per il futuro potrebbero trascendere anche i più remoti confini della nostra più fervida immaginazione. Dobbiamo quindi prepararci al fatto che se davvero tutto questo ha già avuto un percepibile impatto negativo sul nostro modo di relazionarci, le cose potranno farsi decisamente ancora più difficili. Sembra dunque che non potremo sottrarci a una seria riflessione su eventuali risvolti alternativi, più costruttivi, di un’epidemia di solitudine destinata ad ampliarsi.

Un elemento che a mio avviso merita considerazione è una comprensione più limpida e costruttiva di ciò che oggi intendiamo con il concetto di solitudine. Potremmo infatti chiederci se non vi sia, almeno in una parte delle persone, un maggior bisogno di connessione con sé stesse prima ancora che con gli altri. E questo bisogno potrebbe manifestarsi come una ricerca di silenzio interiore, finalizzato ad una maggior comprensione del significato autentico della connessione interpersonale.

Essere autenticamente connessi con sé stessi predispone verosimilmente ad una maggiore possibilità di esserlo anche con gli altri, e su un piano di consapevolezza tendenzialmente più elevato. E se davvero il crescente impatto dello sviluppo tecnologico renderà sempre più diradate le opportunità socio-relazionali per come le intendiamo oggi, allora forse dovremmo prendere in considerazione la necessità di elevare ad un nuovo livello il nostro bisogno relazionale.

I contatti con le persone vengono generalmente considerati ottimali quando sono coinvolte le nostre risorse emotive, affettive, sociali, ecc. Ma raramente ci rendiamo conto che ci sarebbero anche altri elementi di grande importanza da prendere in considerazione, come l’autentico riconoscimento spirituale della preziosità umana. Da questo punto di vista l’intenzione relazionale non sarebbe solo affettiva, ma apparterrebbe all’area della ricerca di valore.

Abbiamo (e avremo) sempre più bisogno di connessione con noi stessi, con la sacralità del nostro essere, al fine di essere in grado di riconoscere la medesima sacralità negli altri esseri umani. Valorizzando a questo livello la considerazione dell'”altro” la connessione è reciprocamente percepita come più profonda in termini di valore e significato.

Riconcettualizzare il nostro rapporto con la solitudine

Un’intenzione relazionale basata su aspetti di questo tipo non è certamente nuova per l’essere umano. Basti pensare ad esempio ad una formula di saluto interpersonale piuttosto diffusa in alcune zone asiatiche: Namaste. Letteralmente, nella concezione moderna, significa “mi inchino a te”. Nella tradizione induista avrebbe però le sue radici in un significato più profondo, ovvero: “mi inchino al divino che è in te”, dal momento che “il divino e il sé sono la stessa cosa in te e in me”.

E se adottassimo concretamente un atteggiamento di questo tipo in tutte le nostre relazioni, come cambierebbe il nostro rapporto con la solitudine, indipendentemente da come evolveranno le interazioni sociali future? Con quale rinnovato stato d’animo potremmo affrontare le sempre più complesse dinamiche interpersonali? Quale sarebbe il vantaggio che ne deriverebbe in termini di maggiore consapevolezza, resilienza e attribuzione di significato all’esistenza stessa?

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