Sfogliando le pagine di questo sito risulterà probabilmente evidente un certo interesse verso le componenti spirituali più nobili dell’animo umano. A mio avviso esse appartengono infatti inevitabilmente alla totalità della dimensione psichica umana, includendo senza dubbio anche quell’aspetto che possiamo definire “l’eterno nell’uomo”.
Per questa ragione, fin dai miei primissimi studi psicologici ho subito il forte fascino di tutte quelle prospettive di crescita psico-spirituale in grado di valorizzare la natura umana ben oltre il tradizionale meccanicismo a cui molte importanti scuole di pensiero sembrano averla relegata.
Tra i tanti spunti di riflessione che oggi, come un tempo, riescono ancora a colpirmi, c’è una frase tratta da un testo di Carl G.Jung(1) che vorrei condividere in questa breve riflessione:
…Eppure vi sono tante cose che riempiono la mia vita: le piante, gli animali, le nuvole, il giorno e la notte, e l’eterno nell’uomo. Quanto più mi sono sentito incerto di me stesso, tanto più si è sviluppato in me un senso di affinità con tutte le cose.
Carl Gustav Jung
Il giorno, la notte, gli animali, le piane e le nuvole potranno anche apparire come concetti tutto sommato banali, almeno da un punto di vista psicologico. Ma perché Jung associa ad essi “l’eterno nell’uomo” tra gli aspetti che riempiono la sua vita?
La dimensione dell’eterno nell’uomo apre a riflessioni psico-filosofiche di immensa vastità e portata. Jung non ha mai affermato con chiarezza una sua convinzione nell’immortalità dell’uomo. Sappiamo però che ha sempre rifiutato una visione teologica dell’esistenza di tipo cristiano tradizionale, insistendo spesso sulla considerazione di sé stesso come uomo di scienza, interessato unicamente alla descrizione oggettiva dei fenomeni osservati.
Essendo dunque l’uomo una “creatura mortale” che cosa potrebbe, entro sé stesso, ricondurre ad una dimensione di eterno? E’ molto difficile rispondere a questa domanda senza rischiare di scadere in banali affermazioni fideistiche o prese di posizione basate su convinzioni personali, più che su evidenze riscontrabili.
E molto probabilmente nemmeno Jung aveva una risposta razionale, chiara e scientifica a questa domanda. Ma lui, come altri psicologi (ad esempio Roberto Assagioli), non poté fare a meno di notare l’esistenza, in alcune persone, della percezione di un’idea di eterno.
La sua concezione del Sé non è naturalmente sufficiente per poterlo definire come un fenomeno in grado di dimostrare la qualità dell’eterno. Il Sé è però quella dimensione della totalità umana che include aspetti che trascendono l’Io cosciente e che possono essere inclusi nella coscienza grazie ad un lavoro su sé stessi, come ad esempio un’analisi personale.
Assagioli si è senza dubbio spinto molto oltre, individuando un inconscio superiore e persino un Sé transpersonale. Sono concetti poco noti allo psicologo moderno, e che personalmente ho avuto la fortuna di poter studiare approfonditamente, cercando anche un riscontro ad essi entro l’alveo del più recente pensiero psicologico.
Jung non credeva dunque nell’esistenza di un’anima avente quelle caratteristiche di immortalità (eternità) ad essa attribuite da molte tradizioni religiose. Forse ciò che per lui costituiva “l’eterno nell’uomo” era nient’altro che la risonanza interiore dell’appartenenza al tutto che ci circonda.
Ed è ciò che ha in un certo senso descritto anche mediante il concetto di “inconscio collettivo“, definito dallo stesso Jung come “un patrimonio ereditario di possibilità rappresentative non individuali ma comuni a tutti gli uomini e forse a tutti gli animali, e costituisce la vera e propria base della psiche individuale” (2).
Si tratterebbe in sostanza di una dimensione psichica che va ben oltre il presente, che va oltre l’individualità e la finitezza dell’Io. “L’inconscio collettivo” aggiunge ancora Jung, “…è come uno spirito che pervade tutto, onnipresente, onnisciente” (3).
In ogni caso, un’indagine sul concetto di “eterno nell’uomo” è senza dubbio possibile anche senza dover necessariamente partire dalla posizione Junghiana. Talvolta è sufficiente prestare attenzione a ciò che esiste e vive attorno a noi per essere catturati da un barlume di meraviglia e di infinito.
Ciò a cui siamo poco abituati oggi è però probabilmente la capacità di creare in noi quegli spazi di silenzio interiore capaci di suscitare tali riflessioni. Ed è un limite severo al nostro sviluppo, perché mai come oggi l’animo umano sembra aver bisogno del nutrimento della bellezza, della meraviglia, dell’infinito e della dimensione dell’eterno per poter dare un senso autentico alla propria esistenza.
______________________________
NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) – Jung C.G., Ricordi, Sogni, Riflessioni, BUR.
(2) – Jung C.G., Opere Vol. 8: La dinamica dell’inconscio (La struttura della psiche), Bollati Boringhieri.
(3) – Jung C.G., Opere Vol. 10: Tomo I: Civiltà in transizione: il periodo fra le due guerre, Bollati Boringhieri.