In un recente articolo apparso sul “The Guardian” dal titolo “What’s the best way to avoid regrets?” lo Psicologo Oliver Burkeman si interroga sul modo in cui dovremmo condurre la nostra vita al fine di evitare i rimpianti. L’autore offre qualche riflessione partendo dai risultati di uno studio condotto da due ricercatori (Thomas Gilovich e Shai Davidai), che su questo aspetto sono giunti a definire un “sé ideale” e un “sé obbligato” (o “sé dovere”).
Il sé ideale (ideal self) definirebbe la persona che saremmo qualora riuscissimo a realizzare tutti i nostri progetti, sogni, ambizioni, ecc. Il sé obbligato (ought self) definirebbe invece la persona che saremmo se invece adempissimo a tutti gli obblighi che sentiamo di avere nei confronti degli altri e della società, e se fossimo in grado di condurre un’esistenza moralmente irreprensibile [1].
Stando ai risultati della ricerca, sembra che la maggior parte delle persone tenda più a rimpiangere le mancate realizzazione nella sfera del sé ideale, piuttosto che preoccuparsi per gli errori commessi nell’ambito del sé dovere. In altre parole, il classico proverbio “meglio avere rimorsi che rimpianti” sembrerebbe trovare conferma sperimentale.
Secondo i ricercatori, ciò non sarebbe dovuto all’egoismo delle persone. Sarebbe più che altro la conseguenza della nostra tendenza a cercare di “sistemare” prima le questioni relative al sé dovere, che a cercare di realizzare i sogni. Forse perché ciò che è legato alla dimensione della necessità può apparire più urgente, o semplicemente perché potremmo provare sentimenti di vergogna convivendo con una determinata realtà. Ad esempio, dopo un tradimento del coniuge può scattare il desiderio di rimediare e salvare il rapporto.
Sembra che i sogni nel cassetto tendano invece a rimanere tali. Fanno sentire la loro voce, ma rimangono comunque in posizione più arretrata rispetto alle spinte del sé obbligato. Per usare un’espressione piuttosto significativa che ho letto tanti anni fa in un testo di Paolo Coelho “, nel corso della nostra vita corriamo il rischio di passare dalla fase in cui è troppo presto per decidere, a quella in cui è troppo tardi per cambiare [2].
Come possiamo dunque evitare i rimpianti?
Oliver Burkeman sembra non avere dubbi a questo proposito. I risultati di questa ricerca, a suo avviso, sarebbero la prova inequivocabile del fatto che al fine di evitare i rimpianti futuri, è necessario avere il prima possibile una chiara consapevolezza su cosa desideriamo davvero dalla vita. Dopodiché dovremmo cercare di realizzarlo, anche a rischio di essere giudicati negativamente dalle altre persone.
Ma egli stesso ammette che la difficoltà principale è proprio quella di comprendere che cosa davvero desideriamo dalla vita. Se tutto questo si trasformasse in un mero invito all’impulsività e all’edonismo, il rischio sarebbe quello di provocare rimpianti sia a carico del sé ideale, che di quello obbligato.
Per questo motivo, prendendo spunto dalle teorie di Carl G. Jung, invita i lettori ad invertire la domanda. Invece di chiedere a sé stessi che cosa si desidera dalla vita, è meglio interrogarsi su cosa la vita potrebbe desiderare da noi. Cercando di andare oltre i capricci del momento, che cosa sta davvero cercando di suggerirci il nostro Io?
Jung riteneva esservi in noi un’anima (concetto però piuttosto diverso dalla formulazione cristiana) con un preciso scopo esistenziale da realizzare, la cui dimensione psichica sarebbe più ampia rispetto a quella dell’Io, ovvero della parte di cui possiamo avere consapevolezza.
Lo scopo dell’anima junghiana potrebbe essere addirittura in conflitto con quello affermato dall’Io, e non mancherebbe certamente di far sentire la sua voce nel corso della vita. Burkeman, si dichiara non del tutto convinto dell’esistenza di quella realtà psichica che Jung ha definito “anima”, avente un progetto diverso da quello dell’Io. Egli invita però in ogni caso il lettore a porre a se stesso la domanda con la modalità inversa appena illustrata.
Ogni volta che ci troviamo di fronte ad importanti scelte nella nostra vita, dovremmo riuscire a spegnere il rumore di fondo e prestare attenzione a quella voce interiore in grado di suggerirci quale potrebbe essere al scelta giusta da fare. A suo avviso, questo sarebbe un buon modo per evitare i rimpianti.
Può bastare questo ad evitare i rimpianti?
Personalmente credo proprio di no. Se non altro per il fatto che prestare attenzione a quella onnisciente voce interiore che tutti abbiamo è incredibilmente difficile. Tra i vari slogan ripetuti con insistenza oggi negli ambiti del benessere personale non mancano ovviamente quelli che invitano ad “ascoltare il proprio cuore”.
Ma che cosa si intende realmente con il concetto di “cuore”? Ognuno di noi attribuisce ad esso un significato diverso, in funzione di un certo numero di variabili psicologiche e culturali personali. Se la “voce del cuore” è quella dell’anima Junghiana, è facile rendersi conto che prima di udirla bisognerebbe quanto meno avere un barlume di consapevolezza della sua esistenza.
Se facciamo un ulteriore passo avanti, e identifichiamo il cuore con il nostro Sé Superiore o Transpersonale, le cose si complicano ulteriormente, dal momento che per sfiorare le vette del nostro inconscio superiore è chiaramente necessario un lavoro di formazione psico-spirituale costante ed impegnativo, che non molte persone sono disposte ad intraprendere.
Qual’è dunque il rischio in tutto questo? E’ naturalmente quello di confondere la voce del cuore (inteso come la parte più nobile e saggia della nostra sfera psichica) con la ben più limitante voce della nostra sfera emotiva. Se l’invito di Oliver Burkeman ad ascoltare i suggerimenti dell’anima è pienamente condivisibile e di per sé stesso indice di grande saggezza personale, dobbiamo parallelamente accertarci che sia davvero l’anima a parlare.
Gli uomini che non hanno osservato un’appropriata disciplina, e non hanno fatto tesoro della loro gioventù, giacciono, come archi rotti, rimpiangendo il passato.
Siddhārtha Gautama Buddha
Principio del Piacere e principio di Realtà
Per quanto oggi si insista molto sulla realizzazione personale ad ogni costo, sull’anteposizione dei propri desideri di successo a tutto il resto o sulla ricerca di una felicità basata prevalentemente sull’interesse personale, la bellezza dell’umana natura non cessa di dimostrare costantemente che questa è solamente la via di minor resistenza, ma non quella prediletta da una significativa quota di individui.
Se la ricerca di cui abbiamo parlato dimostra che spesso le persone ottemperano alle prescrizioni del sé dovere, forse ciò è anche la conseguenza del fatto che molti si realizzano rinunciando ai propri sogni personali, al fine di agevolare quelli di persone di cui hanno a cuore la felicità.
Freud affermava che l’essere umano oscilla tra un principio de piacere ed un principio di realtà. E queste due opposte polarità sono pressoché sovrapponibili alle dimensioni del sé ideale e del sé dovere definiti dalla ricerca. Perché molte persone non agiscono secondo il principio del piacere, dal momento che, per tutti, costituisce la spinta pulsionale primaria all’appagamento dei propri desideri?
Non lo fanno proprio perché la voce del cuore, in molte persone, è più forte di quella del desiderio personale. Non lo fanno perché non difettano di quella saggezza psicologica che li mette in grado di valutare gli effetti a lungo termine delle loro egoistiche ambizioni. Non lo fanno perché per costoro nella parola “sacrificio” risuona ancora un eco di quell’etimologico “fare sacro” che onora nobilmente l’umana natura.
Il rimpianto è il vano pascolo di uno spirito disoccupato
Gabriele D’Annunzio
Rimpianti e Senso di Responsabilità
Personalmente, ritengo che per poter effettuare una corretta valutazione di ciò che per noi potrebbe essere un rimpianto, un rimorso o l’esito di una scelta consapevole, dobbiamo prima di tutto avere almeno un barlume di consapevolezza sul senso e sul fine della nostra esistenza. Dobbiamo avere almeno una vaga idea del posto che occupiamo nell’economia di quel più o meno vasto ambito di influenza in cui ci esprimiamo.
Da questo ben più ampio punto di osservazione, l’importanza che attribuiamo alle nostre realizzazioni e conquiste può cambiare significativamente. Ciò che per alcuni potrebbe costituire un grande successo personale, ad altri potrebbe apparire semplicemente come una base su cui costruire ben altri traguardi.
Pertanto, se la nostra unica preoccupazione è quella di evitare i rimpianti, che siano del sé ideale o del sé dovere, è piuttosto probabile che nella nostra vita manchi un elemento trainante rispetto al quale percepiamo un senso di adempimento oppure no. Questo elemento trainante, qualora abbia la natura di un fine emanante dalla parte più profonda e nobile di noi stessi, ha il potere di distogliere completamente il nostro sguardo dalla necessità di valutare gli eventi della nostra vita lungo un continuum che si delinea tra soddisfazione e rimpianto.
E quando siamo sufficientemente ben consapevoli del fine al quale dedichiamo le nostre energie, assume una grande rilevanza anche la necessità di adempiere a ciò che appare giusto e necessario con grande senso di responsabilità, verso la vita e verso le persone. Quando la presenza di una grande senso di responsabilità riflette unicamente la consapevolezza del proprio scopo di vita, è del tutto improbabile avere rimpianti, dal momento che le esigenze del sé ideale e quelle del sé dovere vengono a coincidere.
1 – Ulteriori dettagli sulla ricerca sono disponibili sul sito “Research Digest”
2 – Dal testo: Paolo Coelho – Veronika decide di morire – Bompiani