Fede e Psicologia. Due ambiti inconciliabili?

Il  complesso rapporto tra Fede o Psicologia si risolve elegantemente nella raffinatezza intellettiva dell'Uomo di mente e cuore elevati. Non c'è alcuna necessità di ricorrere alla fede per l'individuo che ha reso nobile il suo Essere. La luminosa consapevolezza in cui dimora ha natura di certezza e verità.

Tutto ciò, che ho appreso nella vita, mi ha portato passo dopo passo alla convinzione incrollabile dell’esistenza di Dio. Io credo soltanto in ciò che so per esperienza. Questo mette fuori campo la fede. Dunque io non credo all’esistenza di Dio per fede: io so che Dio esiste.
(da Jung Parla – Interviste e Incontri)

Parlare di un rapporto tra Fede e Psicologia potrà a molti sembrare quantomento un po’ inusuale. Vorrei però iniziare un ragionamento partendo proprio dalla nota affermazione di Carl Gustav Jung appena riportata. Il suo significato è che la nostra mente, con i metodi appropriati, è in grado di acquisire sufficienti informazioni da consentire un completo superamento della necessità di un approccio di tipo fideistico alle realtà trascendenti. Il padre della Psicologia Analitica sembra infatti sottolineare il fatto che un’indagine straordinariamente approfondita sulla natura della psiche come quella da egli condotta, apre ad orizzonti di consapevolezza che possono avere una base oggettiva.

Scienza e Fede: un rapporto complesso

A partire dalla seconda metà del Diciannovesimo secolo, la Psicologia ha assunto l’identità di disciplina scientifica, a seguito dell’adozione dei metodi sperimentali tipici delle scienze naturali. Ciò ha pertanto comportato una precisa presa di distanza da qualsiasi formulazione teorica non supportata da osservazioni condotte con il rigore del metodo scientifico. L’approccio alla conoscenza della realtà introdotto dal Positivismo si era ormai imposto in tutti gli ambiti scientifici.

Il paradigma dominante, ancora oggi, esclude categoricamente dall’ambito scientifico qualsiasi affermazione derivante da metodologie non basate su evidenze rigorose. Questo però non significa che gli scienziati in generale non abbiano potuto maturare qualche forma di consapevolezza interiore sulla natura ultima o sul “perchè” della realtà osservata con i criteri della scienza. A questo proposito ho sempre trovato deliziosa e illuminante l’affermazione, riportata di seguito, del matematico italiano Luigi Fantappiè.

«… solo se si abbandonano i veri fini della scienza (conoscenza razionale della realtà), sostituendo questi fini con mezzi occasionali di una certa epoca (metodo, tecnica), elevati a fine ultimo dai ricercatori miopi, si può nella scienza mettere da parte l’idea di Dio.
Altrimenti Dio è naturalmente al centro della scienza, essendone il motore ed il fine, come è provato dagli stessi grandi scienziati di tutte le epoche, da Galileo a Newton, da Platone a Picard, da Linneo a Pasteur, nonostante le opposte opinioni dei loro più meschini seguaci».

E non a caso Fantappiè parla di “idea di Dio” e non di fede. Sulla stessa linea di Jung, egli si riferisce probabilmente a quella necessità interiore di riconoscere, per necessità logica, l’esistenza di un “motore e di un fine” alla base di ciò che la scienza, con i suoi metodi, può osservare.

Un percorso di Fede o di Conoscenza?

San Paolo affermava che “la fede è sostanza di cose sperate ed evidenza di cose non viste(Ebrei XI,1), intendendo probabilmente che l’esistenza di qualcosa che possiamo definire fede è di per sè una prima dimostrazione della sostanzialità dei suoi stessi contenuti. L’importanza di questa affermazione è indicata anche dal fatto che Dante la riprende, parafrasandola praticamente alla lettera, in questi versi della Divina Commedia:

«Fede è sustanza di cose sperate
e argomento de le non parventi,
e questa pare a me sua quiditate»
(Paradiso XXIV, 64)

Come dovrebbe definirsi, dunque, il rapporto tra Fede e Psicologia per l’uomo che anela ad un pieno sviluppo delle sue facoltà personali e transpersonali? Personalmente sono della convinzione che un approccio psicologico che miri semplicemente ad alimentare la Fede in una persona, non possa avere un’utilità apprezzabile. Semplicemente perchè ritengo che nel cuore di un uomo dotato di adeguate risorse e qualità psicologiche alberghi già un sentimento di anelito a qualche forma di Conoscenza.

Una persona dotata di brillante intelligenza intuitiva non può, prima o poi nella sua vita, astenersi dal porre a se stessa qualche impegnativa domanda sul senso dell’esistenza, sul fine ultimo delle cose, sulla nostra natura più autentica o sul destino della nostra coscienza di fronte alla morte. Ma questo sentimento non ha nulla a che fare con la fede. E’ semplicemente un bisogno naturale. Un bisogno naturale che non è ovviamente avvertito da tutti indistintamente, ma che uno psicologo attento come Abraham Maslow, ad esempio, ha collocato al vertice della sua Piramide dei Bisogni.

Possiamo attingere ancora dalla saggezza di Carl G. Jung per chiarire meglio questo concetto. Quella che segue è una sua meravigliosa affermazione, dal testo “Ricordi, Sogni, Riflessioni” : “Eppure vi sono tante cose che riempiono la mia vita: le piante, gli animali, le nuvole, il giorno e la notte, e l’eterno nell’uomo“. Che cos’è, dunque, l’Eterno nell’Uomo? Non è certamente un aspetto della fede, nella visione Junghiana, e men che meno un vago sentire emotivo. Ha più probabilmente a che fare con una certezza interiore, con la percezione nitida di una “realtà” allo stesso tempo trascendente e immanente.

Abbiamo forse bisogno di definire a parole quel sentimento di bellezza e ricchezza interiore che proviamo di fronte alla maestosità di un’opera di eccezionale valore artistico? Abbiamo forse adeguati mezzi espressivi per definire la meraviglia che ci pervade nell’ammirare la bellezza e i misteri della vita? E che dire della percezione di Infinito che attraversa tutto il nostro essere e illumina la nostra coscienza di fronte all’immensità dell’universo? Non hanno forse un’oggettività intrinseca questi nostri vissuti interiori?

Il  complesso rapporto tra Fede o Psicologia si risolve dunque elegantemente nella raffinatezza intellettiva dell’Uomo la cui mente e il cui cuore vibrano all’unisono. Non c’è alcuna necessità di ricorrere alla fede per l’individuo che ha reso nobile il suo Essere. Specialmente quando ciò accade dopo aver attraversato l’oscura valle del dolore. La luminosa consapevolezza in cui può dimorare ha natura di certezza e verità, al pari di qualsiasi dimostrazione oggettiva.

Credere, avere fede, non è dunque necessario per colmare tutto il proprio Essere di quella meraviglia che possiamo provare stando consapevolmente di fronte alla Vita. E forse è proprio questo il segreto: coltivare la capacità di provare meraviglia.

Fede e Psicologia scientifica sono necessariamente inconciliabili?

Dal punto di vista della moderna Psicologia scientifica, probabilmente si. Ma vanno ribadite alcune importanti osservazioni. La Psicologia non ha un’anima sola. Al suo interno esistono numerose correnti, con punti di vista e basi teoriche di enorme eterogeneità. Accanto alle due “forze” principali, Psicoanalisi e Comportamentismo, se ne è evoluta dapprima una terza (la Psicologia Umanista) e successivamente una quarta (la Psicologia Transpersonale). Nelle pagine di questo sito abbiamo spesso fatto riferimento ai principi che hanno ispirato lo sviluppo di quest’ultimo settore della disciplina.

Il primo ad utilizzare il termine “Transpersonale” in Psicologia sembra essere stato Roberto Assagioli. Egli intendeva proporre un approccio che mirasse all’integrazione dei tradizionali elementi bio-psicologici dell’uomo con aspetti in grado di trascendere la personalità individuale. In sostanza, veniva dato il via all’introduzione di elementi di spiritualità nello studio dello sviluppo dell’uomo, nella sua pienezza e totalità. Questa esigenza proveniva da autori diversi, tra i quali possiamo citare William James, che scrisse addirittura un testo dal titolo “The Varieties of Religious Experience: A Study in Human Nature“. James era un filosofo pragmatista. Egli era pertanto interessato al fenomeno dell’esperienza religiosa in quanto tale, e al suo impatto sulla coscienza e sul benessere dell’individuo. Era molto meno interessato alle questioni teologiche che ne derivano.

Questo approccio sembra infatti l’unico in grado di costruire quel ponte tra Fede e Psicologia di cui stiamo parlando in questo scritto. Quando la Fede si smarca da quella connotazione dogmatica, acritica e persino fanatica che buona parte della tradizione religiosa le assegna, essa può allora assumere il ruolo di elemento trainante in molti percorsi di ricerca di significato. Quando si offre come esperienza in quanto tale, pregna di quel senso autoesplicativo che non necessita di alcuna interpretazione, il fenomeno della fede può assumere legittimamente un ruolo almeno nei contesti non meccanicisti della Psicologia.

Ma anche volendo rimanere rigidamente ancorati ad un’ottica di tipo scientifico, l’esperienza della fede è un fatto psichico, e come tale non può essere semplicemente ignorato. Se l’aprirsi agli aspetti transpersonali dell’esistenza umana genera un’esperienza di arricchimento interiore e uno stato di pienezza, possiamo limitarci ad etichettarlo come fatto non suscettibile di indagine scientifica e pertanto trascurabile?

Il buon senso suggerirebbe che debba essere la scienza a doversi adattare al fenomeno, e non il contrario. Il presentarsi di esperienze aventi natura “spirituale” è di per se stesso un fatto concreto. Benchè i contenuti possano non essere facilmente indagabili, l’esperienza fenomenologica del fatto stesso è incontestabile, e come tale ha dignità di essere osservata e studiata. E lo deve essere a maggior ragione per il fatto che questo tipo di esperienze sono non di rado correlate ad un miglioramento dello stato di benessere psichico.

L’Esperienza Immaginativa come strumento di indagine e crescita psicologica

Una premessa fondamentale, utile a chi desidera avvicinarsi all’affascinante mondo della Psicologia Transpersonale e Spirituale, è quella di possedere un cuore onesto e libero da pregiudizi, e una mente aperta, chiara e intuitiva, ma allo stesso tempo fermamente logica e razionale. Solo su queste basi è possibile esperire e/o studiare il fenomeno dell’esperienza spirituale senza il rischio di etichettarla come fantasia o, peggio ancora, di accoglierla invece come fenomeno di straordinaria qualità psichica cedendo semplicemente all’infantile necessità narcisistica di doverlo ritenere tale. Quest’ultimo è purtroppo un fenomeno molto più diffuso di quanto si potrebbe ritenere.

Una volta sgomberato il campo dal dubbio, possiamo facilmente renderci conto che oggi esistono numerose tecniche psicologiche idonee a condurre la nostra coscienza a contatto con i nostri aspetti più trascendenti. Gli Esercizi di Psicosintesi e quelli di Visualizzazione Creativa che proponiamo nelle pagine di questo sito contengono numerosi elementi di sviluppo interiore e di avvicinamento alla pienezza del proprio Sé.

La tecnica a mio avviso più straordinaria per chi avverte la necessità di indagare entro se stessi questi aspetti di trascendenza, è quella dell’Esperienza Immaginativa, nata dall’evoluzione del lavoro pionieristico di Robert Desoille, da lui definito Rêve Eveillé Dirigé. Egli aveva infatti notato che ad un particolare stadio del lavoro psicologico, potevano iniziare ad apparire determinate situazioni immaginative caratterizzate da movimenti di ascesa e dalla presenza di una particolare luminosità. Desoille non esitò a definirli “stati luce“, a seguito della loro particolare natura e dell’effetto prodotto sul soggetto nel cui inconscio tali immagini emergevano.

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