Ci si potrà chiedere perchè la Psicologia dovrebbe occuparsi di questioni così profonde come la ricerca del fine ultimo della vita. Filosofie e religioni hanno infatti provveduto a ciò nel corso della storia dell’uomo, offrendo vari tipi di interpretazione ai suoi dubbi e alle sue inquietudini. Il lavoro dello psicologo non è dunque finalizzato a trovare risposte a quesiti di questo tipo.
La questione è diversa, ma piuttosto semplice: l’innescarsi di processi di sviluppo interiore può essere accompagnato dalla presenza di sintomi psicologici. Ad esempio, sembra non esserci nulla di più efficace nello scuotere la nostra coscienza che il dolore, come abbiamo più volte evidenziato. E il dolore, anche quello che poeticamente ci invita a volgere lo sguardo all’anima, può talvolta richiedere un sostegno.
E’ forse utile anche precisare che il tipo di Psicologia che mi appassiona è finemente pervasa da una componente di tipo “spirituale” (1). Personalmente, non riesco a pensare ad una Psicologia che non abbia come metodo e come fine l’orientamento dell’uomo verso la più alta sfera dimensionale che la sua personale coscienza consente. Anche questo articolo parla quindi di “ricerca interiore“.
Che cosa intendiamo per Fine Ultimo della Vita
Ai fini delle riflessioni qui proposte, il fine ultimo della vita è sostanzialmente inteso come una ricerca di scopo. Lo scopo non riguarda tanto il “cosa”, ma il “perchè”. Tutti noi, almeno in età giovanile, immaginiamo chi vorremmo diventare, gli ambiti in cui vorremmo esprimerci e il grado di affermazione sociale che vorremmo raggiungere. E tutto questo ha una grande importanza nel plasmare poi effettivamente il nostro destino. Ma per alcune persone, questo non è tutto.
Qualcuno sente infatti la necessità di interrogarsi anche sul senso dei suoi desideri. In altri termini, non si accontenta di sapere cosa desidera e chi vorrà essere, ma anela a trovare una risposta anche ai grandi perchè della vita. Ed è così che di norma si imbocca il cammino verso la ricerca di quel senso di cui parliamo in questo scritto.
Il fine ultimo della vita si concretizza dunque come quel tanto di “senso autentico e profondo” della realtà che in un dato momento siamo in grado di afferrare. Si tratta di un processo del tutto interiore e di natura intuitiva. Esso deve però essere corroborato dal buon senso e dalla logica razionale. Deve inoltre essere collocabile nella nostra realtà quotidiana, quale elemento di arricchimento e completamento della stessa.
Per il lettore che abbia finalità con gli scritti di James Hillman, il fine ultimo della vita che qui intendiamo va oltre anche al concetto di “Daimon” a cui fa riferimento il noto analista statunitense. Di questo interessante aspetto ci occuperemo in un apposito scritto. Il Daimon ha infatti a che fare con l’adempimento del proprio particolare “destino”, portato con sè in questo mondo già dal primo istante di vita. Conoscere chi davvero si è, e quale sia la propria più importante inclinazione, è un fattore della massima importanza per uno sviluppo pieno, appagante ed armonico della personalità. Riguarda però sempre il “cosa”, mentre il fine ultimo della vita a cui stiamo facendo riferimento ora, trascende anche questa dimensione.
E’ qualcosa di diverso anche dal Processo di Individuazione di Jung, a cui talvolta abbiamo accennato. Quest’ultimo consiste in un percorso di integrazione degli elementi della personalità e di avvicinamento alla totalità e complessità del Sé, che nel personale percorso evolutivo riveste senza dubbio un’importanza straordinaria. La profondità e la bellezza del proprio fine ultimo della vita possono però essere intuite solo da una persona già individualizzata. Si tratta pertanto di qualcosa di cui ha poco senso parlare antecedentemente a questa acquisizione.
Come possiamo trovare il nostro
Diciamo innanzitutto che il percorso che conduce alla scoperta del nostro personale scopo della vita, non può che essere impegnativo, complesso e irto di ostacoli. La ricerca di un fine che possa dirsi autentico, infatti, può solamente nascere da una profonda inquietudine. Quando avvertiamo in noi stessi la presenza di qualcosa di più elevato che preme per manifestarsi, viene inevitabilmente a crearsi un conflitto. Un conflitto tra l’omeostasi temporaneamente raggiunta dalla personalità nel suo insieme, e “qualcosa” che non sappiamo ancora definire, ma di cui avvertiamo vagamente la luminosità.
Non dobbiamo pertanto preoccuparci di come trovare il nostro fine ultimo della vita. Sarà esso stesso ad imporsi alla nostra coscienza, come promessa di una consapevolezza sempre più piena. Dobbiamo solo preoccuparci di chiarire a noi stessi se la nostra motivazione è sufficientemente forte.
Il pieno successo in questa ricerca non è sempre garantito. Ma senza dubbio l’arricchimento interiore che otteniamo anche solo sforzandoci quotidianamente di dare un senso alla nostra vita, è impagabile.
Ruolo dello Psicologo nella ricerca del fine ultimo della vita
Dicevamo che il processo di risveglio della propria natura spirituale più elevata è non di rado accompagnato, o innescato, da inquietudine, sofferenza e tormento interiore. Si tratta di una “sintomatologia” purtroppo estremamente comune in una grande varietà di condizioni psichiche. Lo psicologo tende pertanto a cercare di definire un quadro clinico basandosi su qualche importante sistema di classificazione nosografica, come il DSM. E non possiamo che essere d’accordo su questo punto. Di fronte a manifestazioni di sofferenza interiore o squilibrio psichico, deve innanzitutto essere ricercata una spiegazione che risponda ai criteri della moderna psicologia scientifica.
Roberto Assagioli, in uno scritto unico nel suo genere dal titolo “Sviluppo spirituale e disturbi neuro-psichici” (2), ha descritto il cambiamento psichico conseguente alla “elevazione della coscienza a livelli prima non toccati, il suo espandersi lungo una nuova dimensione interna“. Come egli stesso ha affermato, il numero di persone assillate da esigenze di natura spirituale sarebbe in crescita. Nonostante questo è però molto importante che lo psicologo abbia estremamente chiara questa differenza di manifestazione sintomatologica.
La particolarità dell’intervento psicologico su base spirituale
Facendo riferimento al pionieristico lavoro di Assagioli, possiamo affermare che i disturbi ordinari hanno alla base un conflitto violento tra le passioni di un individuo. Oppure tra i suoi impulsi inconsci e il contenuto della coscienza. Ma può anche derivare semplicemente dall’inibizione dei suoi desideri e dalla conseguente frustrazione. Si tratta in sostanza di questioni facilmente collocabili all’interno di un contesto psicodinamico.
Forse inaspettatamente, Assagioli afferma che questi disturbi sono più difficilmente “curabili” rispetto a quelli che hanno alla base un risveglio definibile come “spirituale”. Mancherebbe infatti “qualcosa di interiormente superiore” a cui fare appello. Qualcosa che possa fungere da elemento di sintesi della personalità. Qualcosa che possa infondere nell’individuo la necessaria fiducia e la volontà di cambiamento.
Assagioli affermava che l’intervento su questo tipo di soggetti dovrebbe mirare ad armonizzare e normalizzare le passioni, a superare gli attaccamenti irrisolti, ad abbandonare i risentimenti, ecc. Psicologi di orientamento cognitivista parlerebbero anche di aiutare a sostituire le modalità di pensiero disfunzionale con altre più idonee.
Forse il detto attribuito ad Einstein secondo cui “i problemi non possono essere risolti allo stesso livello di coscienza in cui sono stati generati” ha un grande valore anche in questo tipo di contesto psicologico. Un’elevazione, anche minima, della coscienza dell’individuo, dovrebbe essere infatti il fine di qualsiasi intervento psicologico, almeno quando le risorse personali lo consentano.
La natura dei disturbi su base spirituale sarebbe invece quella di un graduale processo di liberazione. Si tratterebbe dunque di crisi su cui è possibile intervenire facendo appello a quella parte di natura superiore che la persona è già in grado di percepire. Essa può infatti assumere il ruolo di guida interiore e produrre quella “psicosintesi transpersonale” a cui Assagioli faceva riferimento.
In un caso come questo, la ricerca di un fine ultimo della vita caratterizzato da elementi di trascendenza, va ben oltre l’essere una mera gratificazione emozionale. Va ben oltre il coronamento dei propri desideri personali. Per le persone caratterizzate da questo tipo di esigenza, è piuttosto un bisogno vitale fondamentale, il cui impedimento comporta una drammatica sofferenza esistenziale.
Chi possiede una certa familiarità con questo tipo di condizione sa che la sofferenza tende comunque ad essere temporanea. Nella coscienza della persona con questo tipo di crisi, fin da subito si fa strada un qualcosa che ha una natura unificatrice e sottile. Qualcosa che è già in grado di “vedere” il risultato futuro. L’intervento psicologico si baserà pertanto su tecniche che possano prima di tutto alleviare e rassicurare.
Il primo obiettivo deve infatti sempre essere quello di ristabilire una base accettabile di benessere psichico. In seguito si lavorerà per realizzare l’obiettivo principale: favorire l’ingresso di nuove energie psichiche, sotto forma di intuizioni, capaci di fare luce sul problema e condurre l’individuo a quella consapevolezza entro cui ogni conflitto troverà pace.
Responsabilità dello psicologo
Tutto questo potrà sembrare una distinzione arbitraria ed eccessivamente sommaria, e molto probabilmente lo è. La natura umana ha tante sfumature di consapevolezza quanti sono gli individui stessi. Saper individuare quei (pochi) casi oggettivamente inquadrabili come esigenze di sviluppo spirituale è però estremamente importante.
Un intervento di tipo “tradizionale” rischia, secondo Assagioli, di essere addirittura dannoso per un soggetto le cui necessità sono più sottili. Richiamare la sua attenzione sulla rielaborazione di conflitti, sul passato, sulle emozioni altalenanti, sugli attaccamenti irrisolti e su tutte quelle situazioni complesse che caratterizzano la vita di ogni persona, può ingabbiarne l’anelito ad una maggiore libertà psico-spirituale. La sofferenza e l’angoscia della persona assumerebbero in questo caso dimensioni ancora più profonde.
E d’altra parte, offrire indiscriminatamente strumenti che mirano ad un risveglio spirituale anche in situazioni di tipo ordinario, nel migliore dei casi sarebbe una perdita di tempo e un intervento del tutto inefficace. Senza contare il rischio, sempre presente in questi casi, di cadere in quella pericolosa trappola che lo psicoterapeuta americano John Welwood ha definito “Bypass Spirituale“, ovvero la tendenza a pensare di aver raggiunto un’illuminante meta di trascendenza rispetto alla propria condizione umana, prima di essersi confrontati a fondo con quest’ultima e d averla accettata e rielaborata adeguatamente.
Anche la psicologia moderna distingue tra terapie supportive ed espressive, riservando le seconde ai soli soggetti in possesso di adeguate “capacità di insight“. E’ richiesta infatti la capacità di saper riflettere consapevolmente sui contenuti della propria coscienza. Nel caso di persone spiritualmente orientate, questa distinzione è inevitabilmente ancora più profonda e sottile.
Conclusioni
Come abbiamo visto, il viaggio verso la scoperta del proprio fine ultimo della vita raramente si svolge senza delicati conflitti interiori e qualche tipo di angosciosa sofferenza. La soluzione del conflitto tra il proprio Io (tendente all’Individuazione) e le richieste della “psiche collettiva” non è purtroppo un punto di arrivo definitivo. Altri livelli di consapevolezza probabilmente ci attendono.
Il processo di Individuazione, a detta dello stesso Jung, può essere lungo e doloroso. E analogamente, anche il successivo processo di allineamento tra l’Io individualizzato e il proprio Sé Transpersonale non può essere esente da difficoltà. Esse possono talvolta giungere all’attenzione dello psicologo, che potrà assumersi la responsabilità di seguire casi di questo tipo solamente qualora abbia una chiara consapevolezza di ciò che sta accadendo.
Tecniche come quelle dell’Esperienza Immaginativa, di cui molto si parla in questo sito, sono straordinarie a questo proposito. Sono tra le poche tecniche psicologiche (assieme ad alcune utilizzate in Psicosintesi) a consentire un “movimento di ascesa” all’interno del vissuto interiore. La coscienza è libera di estendersi verso quelle regioni alle quali anela accedere, e lo psicologo può accompagnare l’individuo in questa sua esperienza di arricchimento interiore.
Vai alle pagine di approfondimento sul metodo dell’Esperienza Immaginativa
I disagi psicologici di tipo “ordinario” raramente hanno a che fare con la ricerca di un fine ultimo della vita. Tendono piuttosto ad essere la conseguenza di qualche tipo di frustrazione provocata dal mancato appagamento di desideri di varia natura. Essi, in sostanza, dipendono da cause “esterne”. La natura dell’individuo è focalizzata sulla propria personalità, ed è egocentricamente orientata.
NOTE
(1) Il concetto di “spiritualità“, in tutte le pagine di questo sito, non fa alcun riferimento a questioni di tipo religioso. Si limita a definire il particolare mondo interiore che riguarda la persona consapevole (o desiderosa di esserlo) dell’esistenza di una dimensione transpersonale, a completamento della sfera più tangibile della nostra realtà. Sostanzialmente, la spiritualità viene qui intesa come la capacità di osservare e considerare la vita, i suoi problemi e le sue opportunità da un punto di vista più elevato, ampiamente comprensivo e sintetico.
(2) Dal testo: Roberto Assagioli – Lo sviluppo Transpersonale (Astrolabio)