Il testo che riporto di seguito è tratto dalla mia tesi di laurea (“Il contributo della Fisica Quantistica allo studio della Coscienza”), scritta ormai una decina di anni or sono, ma spero ancora interessante per quanto riguarda i suoi contenuti. Si tratta di un articolo piuttosto complesso, riservato a persone in possesso delle necessarie competenze tecniche.
L’ambito della Psicologia Quantistica necessita di essere affrontato in modo ben diverso da come spesso appare, svilito, in contesti che di psicologico hanno ben poco. E per questo motivo, per comprendere le affascinanti formulazioni sul fenomeno della coscienza offerte dalle più brillanti menti matematiche dell’ultimo secolo, dobbiamo rassegnarci a fare lo sforzo di cercare di comprendere il difficile linguaggio mediante cui sono state espresse.
David Bohm è stato un fisico e filosofo statunitense, che ha contribuito allo sviluppo del modello olonomico del cervello del neuroscienziato Karl Pribram. Ecco di seguito il capitolo della mia tesi che descrive il suo modello della coscienza.
A quanto possiamo discernere, l’unico scopo dell’esistenza umana è di accendere una luce nell’oscurità del mero essere.
Carl Gustav Jung
David Bohm e l’Ordine Implicato
Introduzione
Il termine “olistico” viene oggi comunemente utilizzato in ambiti che vanno dalla medicina alla spiritualità, dalle arti alle scienze umane e in molti altri. Uno studioso che ha però davvero approfondito il significato di questo termine è senz’altro David Bohm.
Principalmente noto come fisico teorico, Bohm è stato comunque spesso considerato un outsider tra i suoi colleghi, a causa della vastità dei suoi interessi che si estendevano alla religione, al misticismo, alla filosofia oltre che alle arti e ad ambiti scientifici diversi dalla fisica, che lo hanno condotto a formulare teorie spesso considerate più filosofiche che scientificamente supportabili.
Era infatti profondamente convinto che tutte le parti dell’universo fossero fondamentalmente interconnesse, in modo da formare un tutto ininterrotto, un flusso continuo. La sua insoddisfazione rispetto a certi paradossi della meccanica quantistica lo condusse all’idea che il mondo dell’atomo debba essere in qualche modo interconnesso e che allo stesso tempo non possa essere considerato una semplice aggregazione di parti indipendenti.
Ben lontana dalle formulazioni evoluzionistiche più ricorrenti, che considerano la coscienza umana come una qualità emergente da un sistema prodotto dalla lunga evoluzione che ha portato gli atomi semplici a raggrupparsi in forme sempre più complesse, la teoria di Bohm considera questo fenomeno come una proprietà intessuta implicitamente in tutta la materia.
Mente e materia si influenzerebbero continuamente in maniera reciproca, allo stesso modo in cui in una persona umana lo stato della mente può influenzare il corpo e viceversa.
Nel suo testo “Universo, mente e materia” (1), ha ipotizzato che nell’universo esisterebbe un ordine implicato, non percepibile a livello macroscopico e che egli paragona ad un ologramma, la struttura complessiva del quale sarebbe identificabile in quella di ogni sua singola parte, e un ordine esplicato corrispondente a ciò che realmente vediamo. Quest’ultimo sarebbe il risultato dell’interpretazione che il nostro cervello offre delle onde (o pattern) di interferenza che compongono l’universo.
Dal suo punto di vista l’universo sarebbe dunque concepibile come un sistema dinamico in continuo movimento. Dato però che con il termine ologramma solitamente ci si riferisce ad una immagine statica, Bohm preferiva descrivere l’universo utilizzando il termine, da lui creato, di “Olomovimento”.
L’Ordine Implicato
L’idea di Bohm relativa all’ “Ordine Implicato” (“Implicate” o “Enfolded” Order) fu proposta in un suo lavoro (1) che si proponeva lo scopo di comprendere la base comune tra la teoria quantistica e quella della relatività. La caratteristica essenziale di questa formulazione è che l’universo sarebbe, in qualche maniera, implicato o avvolto in ogni cosa, e che ogni cosa, a sua volta, sarebbe implicata nel tutto (2).
Da questo punto di vista ogni cosa risulterebbe implicata in ogni altra, ma in maniera tale per cui nelle condizioni di esperienza ordinaria esisterebbe un buon livello di indipendenza relativa tra le cose. L’assunto di base prevede che questa relazione non sia meramente passiva o superficiale, ma risulti essere attiva ed essenziale alla natura stessa delle cose.
Ciascuna cosa sarebbe intrinsecamente collegata al tutto e, di conseguenza, ad ogni altra cosa. Le relazioni esteriori comunemente percepite sarebbero invece caratterizzate dal cosiddetto “Ordine Esplicato” (“Explicate” o “Unfolded” Order) in cui le cose vengono percepite come relativamente separate e distanti.
Questo secondo paradigma sarebbe quindi dominante nell’esperienza ordinaria, così come nella fisica classica Newtoniana, ma dal punto di vista dell’autore non sarebbe correttamente comprensibile se considerato separatamente dal suo contesto d’origine (l’Ordine Implicato).
Dato che l’Ordine Implicato non avrebbe una natura statica ma fondamentalmente dinamica in un processo di continuo mutamento ed evoluzione, è stato definito da Bohm “Olomovimento” (“Holomovement”). Ogni elemento percepibile a livello di Ordine Esplicato emergerebbe dall’Olomovimento, nel cui ambito si originerebbe come stato potenziale e verso cui tenderebbe a farvi infine ritorno.
Ogni cosa può quindi perpetuarsi solamente per un determinato periodo temporale, durante il quale la sua esistenza sarebbe caratterizzata da un costante processo di “dispiegamento” (“unfoldment”) e successivo “riavvolgimento” (“reenfoldment”), dando luogo alla sua esistenza in quanto forma in maniera relativamente stabile e indipendente nell’Ordine Esplicato.
Questa concezione, a parere dell’autore, dovrebbe fornire una spiegazione intuitiva delle proprietà della materia, come descritte dalla meccanica quantistica, proprietà che sarebbero estensibili con facilità e per analogia ai fenomeni mentali, caratterizzati da un costante flusso evanescente di pensieri, emozioni, desideri e pulsioni, che sfociano l’uno nell’altro secondo una modalità che li vede avvolti o implicati in maniera reciproca.
Mente e materia andrebbero quindi soggette, da questo punto di vista, al medesimo processo, mostrando caratteristiche molto meno dissimili da quanto possa apparire ad una osservazione superficiale.
Seguendo questa linea di pensiero, sembra dunque verosimile che l’Ordine Implicato possa costituire un mezzo per concepire l’autentica relazione tra mente e materia, senza la necessità di introdurre un principio, come quello Cartesiano, che le mantenga distinte.
David Bohm aveva comunque precisato che a questo livello l’Ordine Implicato costituiva solamente una cornice generale di pensiero entro la quale doveva essere sviluppata una teoria in grado di garantire concreti avanzamenti verso la rimozione del divario tra mente e materia. Ha quindi proposto un’interpretazione della meccanica quantistica (“Causal Interpretation”) finalizzata alla definizione di quei principi generali in grado di spiegare le modalità secondo le quali le potenzialità racchiuse nell’Ordine Implicato possono concretizzarsi in forme relativamente stabili e indipendenti nell’Ordine Esplicato.
Materia e Coscienza
Dopo la pubblicazione nel 1980 dell’opera “Wholeness and the Implicate Order” il modello olografico è stato intensamente discusso da pensatori di differenti aree disciplinari, con particolare riferimento alle implicazioni delle teorie di Bohm nell’ambito della relazione tra materia e coscienza.
La posizione dell’autore in proposito sembra comunque aver subito un’evoluzione nel corso del tempo. Inizialmente, in risposta a chi, come Wigner, insisteva sulla necessità di includere la coscienza nella teoria quantistica, Bohm affermava come il suo scopo fosse invece quello di descrivere il mondo dei quanti senza dover necessariamente attribuire all’osservatore cosciente un ruolo fondamentale.
Più tardi maturò la convinzione che mente e materia devono invece essere necessariamente considerati profondamente interconnessi, come due aspetti di una totalità globale e non separabile.
Bohm considerava la coscienza come un qualcosa che andava al di là delle proprietà del cervello fisico o ad un mero scambio di informazioni. Il fenomeno della coscienza, dal suo punto di vista, deriverebbe proprio dalle caratteristiche dell’Ordine Implicato.
Ciò che l’autore suggeriva è che il concetto di ordine implicato sarebbe applicabile sia alla materia che alla coscienza, rendendo così comprensibili il loro reciproco rapporto e gli elementi che li accomunano.
Essa sarebbe descrivibile anche come una serie di momenti in cui, in linea di massima, ogni istante da origine a quello successivo, ed il contenuto precedentemente implicato diverrebbe ora esplicato e viceversa. La coscienza sarebbe quindi descrivibile come un processo di scambio, o di feedback, in grado di dare origine ad un progressivo accumulo di conoscenze.
Nella concezione di Bohm una sorta di “tutto indiviso” (“unbroken wholeness”) caratterizzerebbe anche la natura stessa dell’intero universo, in cui la coscienza non sarebbe separata dalla materia. L’idea di Bohm non si discosterebbe molto da quella di Pribram, che prevede una concezione olografica del cervello.
Karl Pribram ritiene che l’informazione venga codificata in maniera diffusa nel cervello e che sia inoltre avvolta in un tutto secondo il meccanismo dell’ologramma.
Nel tentativo di giungere ad un a descrizione completa della coscienza, Bohm analizzò l’esperienza dell’ascolto musicale. Egli ritieneva che il senso di movimento e cambiamento che caratterizzano questa esperienza si basassero sull’elaborazione contestuale, nel cervello, sia delle note che si stanno udendo in un dato istante, sia di quelle dell’immediato passato.
Bohm descriveva queste ultime non come elementi mnemonici, ma come il prodotto della trasformazione attiva di un evento precedente. Il “momento presente” avrebbe dunque una durata più estesa rispetto al più convenzionale “ora”, durata che si estenderebbe nello spazio e nel tempo.
Ogni istante darebbe origine a quello successivo, consentendo al contenuto implicito nell’immediato passato di divenire esplicito nel momento presente. Il senso di movimento nella musica originerebbe pertanto dall’intreccio delle trasformazioni, mediante il medesimo processo che consente l’emersione della coscienza dall’ordine implicato.
Durante l’ascolto musicale, secondo Bohm, l’ascoltatore avrebbe infatti un’esperienza diretta dell’ordine implicato. Questo ordine dovrebbe essere considerato attivo nel senso che fluisce continuamente in una serie di risposte, come quelle fisiche ed emozionali, che sono inseparabili dalla trasformazione degli elementi fisici che le producono.
Ciascun istante di coscienza avrebbe dunque un contenuto esplicito manifesto ed un contenuto implicito, che rimane invece sullo sfondo. Per quanto riguarda i processi di pensiero, Bohm era convinto che oltre alla modalità logico-scientifica comunemente nota ne esisterebbe una più generale. Quest’ultima opererebbe con modalità diverse dalla logica e spiegherebbe ad esempio perché una nuova idea apparirebbe improvvisamente nella mente, dopo un lungo e improduttivo periodo di pensiero logico.
In questa particolarità, Bohm individuava un’analogia con il fenomeno del salto quantico, portandolo a concludere che doveva necessariamente esistere una modalità di pensiero quantistica, che ad uno stadio più tardivo verrebbe integrata e adattata in un processo di tipo logico.
Egli riteneva infatti assai probabile che processi di tipo quantistico fossero implicati nella cognizione, e che questa non potesse essere esaurientemente spiegata in assenza di una loro attenta considerazione.
Per concludere, la figura di David Bohm non è nota solamente nel mondo accademico per le sue teorie nell’ambito della fisica quantistica. I suoi interessi lo hanno spesso condotto a cercare risposte anche a temi di natura strettamente filosofica e spirituale.
È ben noto ad esempio il suo rapporto con il mistico indiano Krishnamurti, con cui ha confrontato le sue idee su temi come quelli del pensiero, dell’esistenza, della morte, dell’intelligenza, della realtà, ecc.
Non stupisce quindi che anche nelle sue produzioni scientifiche non siano mancati importanti riferimenti ad una concezione che vede l’uomo come parte di un tutto. La sua concezione vedeva l’individuo umano essenzialmente come una caratteristica intrinseca dell’universo, e che quest’ultimo sarebbe in qualche modo incompleto se quello stesso essere umano non esistesse.
L’individuo parteciperebbe inoltre al tutto, conferendone significato: la partecipazione umana all’Ordine Implicato consentirebbe a quest’ultimo di ampliare la conoscenza di se stesso.
__________________________________
Bibliografia:
1. Bohm D., 1996, Universo, mente e materia, Rea. Traduzione di: Wholeness and the Implicate Order, London: Routledge & Kegan Paul.
2. Bohm D., 1990, A new theory of the relationship of mind and matter, Philosophical Psychology, Vol.3, N.2.