Riportiamo un interessante articolo apparso su “The Guardian”, in cui lo psicologo Oliver Burkeman afferma che la chiave della felicità è nel futuro. Il lavoro degli psicologi, a suo modo di vedere, dovrebbe dunque focalizzarsi su questa dimensione, piuttosto che sul passato. Ecco un’ampia sintesi dell’articolo…
La critica più frequente verso gli approcci psicologici di più vecchia data – afferma Oliver Burkeman – riguarda il loro essere ossessionati dal passato. Rivolgendosi ad uno psicoanalista tradizionale, si rischia di rimanere per anni ad analizzare il passato, per scoprire poi che il disordine lo hanno creato i propri genitori. Gli psicologi più moderni, orientati verso l’auto-aiuto, partono dalla affascinante premessa che tutto questo non è necessario: è sufficiente modificare il proprio modo attuale di pensare per guadagnarne molto in termini di felicità. Martin Seligman, il padre della “psicologia positiva”, va addirittura oltre. Il passato ed il presente sarebbero solamente delle distrazioni, secondo quanto da egli riportato nel suo libro “Homo Prospectus” e in un saggio pubblicato sul New York Times dal titolo “We Aren’t Built to Live in the Moment“. La chiave della felicità si troverebbe dunque nella peculiare abilità umana di pensare al futuro. “Nel secolo scorso, la maggior parte degli studiosi ha affermato con sicurezza che siamo prigionieri del passato e del presente”, scrive. Ma non può essere così. Ad esempio, la depressione non è semplicemente la conseguenza di “traumi del passato e stress del presente, ma l’effetto di una visione distorta di quanto accadrà nel futuro”. Anzi, “lo scopo principale delle emozioni sarebbe proprio quello di guidare il nostro comportamento futuro”. La soluzione proposta da Seligman per superare tutto questo sarebbe racchiusa in una nuova disciplina: la “psicologia del futuro”. Ho il sospetto – prosegue Burkeman – che altri psicologi potrebbero rimanere sorpresi dal fatto di scoprire di aver ignorato il futuro. Dopo tutto, non avrebbe senso intraprendere un percorso terapeutico, leggere un libro di autoaiuto o prendere degli antidepressivi se poi tutto questo non si traduce in un cambiamento del futuro. Persino Freud affermava di voler liberare i suoi pazienti dalla nevrosi per fare in modo che potessero avere un futuro di “ordinaria infelicità”, per usare una sua brillantemente triste espressione. Jung si spinse anche oltre, affermando che “Io non sono ciò che mi è accaduto, sono ciò che scelgo di diventare”. Ma il problema, per Seligman, è che questo tipo di teorie psicologiche considerano l’uomo alla mercé di pulsioni interiori, che ne determinano la direzione nella vita, con scarso potere personale su di esse. Dal suo punto di vista, noi non trascorriamo il nostro tempo ad agire secondo i pattern di comportamento appresi nell’infanzia. Piuttosto, le nostre azioni sono determinate dal nostro modo di concepire il futuro. Tutto questo è affermato in un articolo di cui Seligman è coautore, nel quale viene posta la questione della differenza tra “guidare verso il futuro, o essere guidati dal passato“. Molti tra i primi psicologi non vedevano l’uomo come prigioniero del passato, ma ritenevano che il passato potesse avere invece un ruolo determinante nel modo di vedere il futuro. Se apprendiamo tramite le nostre primissime relazioni che il mondo è un luogo pericoloso, affronteremo il futuro con ansia. Se siamo in grado di rendercene conto, abbiamo molte più possibilità di riuscire a spezzare questo meccanismo a spirale. A supporto delle sue osservazioni, Seligman cita anche uno studio in cui un ad un gruppo di persone era stato assegnato il compito di interrompere periodicamente, nel corso della giornata, le proprie attività, e ad annotare i pensieri che avevano in quel momento. I ricercatori hanno riscontrato che le persone pensavano molto più frequentemente al futuro che al passato, anche se questo non dimostra che il passato non sia un fattore determinante. Esso molto probabilmente ha determinato il loro modo di pensare al futuro. |
Possiamo solamente aggiungere a queste riflessioni che forse la questione della relativa importanza di passato e futuro potrebbe essere facilmente superabile aiutando le persone a comprendere la loro più autentica natura, ad interrogarsi sullo scopo e sul senso della loro esistenza, ad attribuire una scala di priorità ai loro valori, ad elevare la propria autocoscienza ad un gradino più elevato rispetto all’ordinarietà meccanicistica della vita, ecc.
Divenire consapevoli delle pulsioni e dei meccanismi che ci spingono ad agire in un certo modo può aiutarci ad evitare di soffermarci sulla comoda affermazione “sono fatto così, non posso farci nulla…“. Si afferma non a caso che diventare persone psicologicamente adulte comporta la perdita del privilegio di poter incolpare gli altri per ciò che ci accade. Avere uno scopo fondato su una autentica riscoperta di se stessi e della pienezza della vita aiuta a ridimensionare il potere del passato e a costruire in noi stessi una Volontà granitica, capace di farci avere il pieno controllo delle nostre azioni e del nostro futuro.
Fonte: The Guardian – Oliver Burkeman – Does the future hold the key to happiness?