Una delle critiche più frequenti rivolte alla Psicoanalisi in generale ha spesso riguardato la tendenza a costruire modelli per comprendere la natura ed il comportamento umano a partire da casi di persone che presentavano aspetti psicopatologici. Nel corso della sua storia la Psicologia in generale si è effettivamente molto occupata di definire il concetto di malattia mentale, differenziandolo da quello di normalità. Per quanto possa sembrare difficilmente comprensibile, anche il concetto di normalità non è poi così facilmente definibile in Psicologia. Autori diversi e in tempi diversi ne hanno dato interpretazioni soggettive e varie.
La normalità secondo il senso comune
E’ piuttosto frequente sentire affermazioni come “quella persona non è normale!”, o “cerca di comportarti come la gente normale!”, oppure ancora “cerca di goderti la vita, come fanno le persone normali!”.
Sono tutte affermazioni che hanno in comune una natura comparativa rispetto ad una “norma” di riferimento, basata per lo più sull’aspettativa di comportamenti e atteggiamenti conformi al senso comune.
La normalità, all’esterno del perimetro della Psicologia, è dunque spesso intesa come “conformità” rispetto alle aspettative comuni o come aderenza a principi etico-morali che rendono comprensibili e prevedibili le intenzioni e le reazioni altrui.
All’interno di una determinata cultura di riferimento è normale chi assume comportamenti e atteggiamenti conformi alle aspettative della collettività. Folle sarebbe invece colui che se ne discosta, seguendo una linea di atteggiamento e comportamento conforme ad un codice molto più personale.
L’ipotesi della normalità come predominio della coscienza sull’inconscio
Una delle formulazioni sul concetto di normalità in psicologia che più mi ha fatto riflettere nel corso dei miei studi è quella proposta da Gordon Allport, uno degli psicologi più noti nell’ambito degli studi sulla personalità. Egli affermava che “la condizione di normalità è caratterizzata da un predominio della coscienza sull’inconscio, che si esprime fra l’altro nella capacità di pianificare la propria esistenza” (1).
Sembra di per sé un’affermazione semplice e di buon senso: nel momento in cui non siamo “vittime” dei complessi o, più semplicemente, non manifestiamo automatismi di tipo nevrotico come risposta agli stimoli ambientali, possiamo considerarci persone caratterizzate da normalità.
Secondo Allport, la normalità in psicologia sarebbe dunque definibile come la capacità di un individuo di saper pianificare la propria esistenza procedendo con determinazione e sicurezza in una precisa direzione, senza influenze di altro tipo o errori di realizzazione.
Ma la psicologia non si accontenta di cose semplici. Aldo Carotenuto, nel testo già citato (1) e molto più raffinatamente, ricorda l’importanza del concetto di “progettualità” nella propria vita. Il compianto docente universitario e analista italiano, rifacendosi alle teorie Junghiane, afferma che l’inconscio non manca mai di esercitare la propria influenza sulla coscienza.
La prospettiva vitale si appiattisce in coloro che tengono lontana questa istanza dalla propria vita, oltre a mettere in evidenza un “cieco ottimismo ridicolo e incongruo rispetto alla realtà della vita il cui iter è sempre imprevedibile. Nella vita concreta non vale la legge matematica per al quale la distanza più breve tra due punti è una linea retta”.
La Normalità in Psicologia e il concetto di Daimon
Sulla scia di quest’ultima riflessione, Carotenuto accenna anche al concetto di Daimon, affermando come a guidare la nostra vita possono essere fattori ben più interessanti che la ricerca della mera normalità. In questo egli si rifà chiaramente al pensiero di James Hillman espresso nell’interessantissimo testo “Il codice dell’Anima“.
Nella sua pratica clinica, Carotenuto afferma di aver osservato di frequente che è proprio il daimon interiore, quell’innata spinta presente fin dalla nascita a perseguire un determinato scopo, a condurre l’individuo su una determinata strada.
E questa strada non di rado è diversa da quella che si era programmato di percorrere, spinti in questo secondo caso da un bisogno caratterizzato dal desiderio di “normalità” e appartenenza.
L’ostentata sicurezza di molte persone “normali”, più che uno stato di maturità, dimostrerebbe di conseguenza, secondo Carotenuto, un atteggiamento acritico verso sé stessi, che conduce quasi inevitabilmente a quello stato di aridità di chi ha perduto il contatto con il proprio inconscio.
La normalità in Psicologia vista in una prospettiva di provvisorietà
Jean Bergeret, uno psicoanalista francese recentemente scomparso e non particolarmente noto nel panorama italiano, propone una definizione del concetto di normalità curioso e interessante. Nella sua concezione sarebbe necessario separare la nozione di “normalità” da quella di “struttura”.
A suo avviso, l’osservazione quotidiana è sufficiente a dimostrare come una persona definibile come “normale” da un punto di vista della struttura di personalità possa in qualsiasi momento fare il suo ingresso nell’ambito della patologia mentale, persino in uno stato psicotico. Per contro, un malato mentale correttamente trattato manterrebbe un certo grado di probabilità di ritornare ad una condizione di “normalità”.
La sua definizione del concetto di normalità in psicologia, pur muovendosi all’interno di un perimetro psicoanalitico tutto sommato tradizionale, ne rimarca la caratteristica di provvisorietà. Normale sarebbe il soggetto che “conserva in sé le fissazioni conflittuali della maggior parte della gente, e che non ha ancora incontrato sulla sua strada difficoltà interne o esterne superiori al suo bagaglio affettivo ereditario o acquisito, alle sue facoltà personali difensive o adattive… tenendo in giusta considerazione la realtà e riservandosi il diritto di comportarsi in modo apparentemente aberrante in circostanze eccezionalmente ‘anormali'” (2).
La normalità sarebbe dunque uno stato provvisorio dell’essere, dovuto almeno in parte all’assenza di difficoltà od ostacoli tali da determinare un avvicinamento dell’individuo alla dimensione della patologia. Per Bergeret, non è pensabile uno stato di completa libertà rispetto alle nostre dinamiche conflittuali interiori. Per cui i fattori ambientali giocherebbero un ruolo fondamentale nel mantenimento della “normalità”.
Si tratta di una visione certamente interessante, ma non di meno forse un po’ meccanicista, a mio modo di vedere. La bellezza della natura umana presenta non di rado stupende sorprese. Si possono scorgere ad esempio nel modo elegante e dignitoso con cui molte persone affrontano e superano, senza mai sconfinare nella patologia, situazioni di sofferenza interiore di tale gravità che distruggerebbero l’integrità della stragrande maggioranza delle persone.
La normalità nella Psicologia Umanistica e Transpersonale
Secondo la psicoanalisi ortodossa, l’individuo umano tende semplicemente, per sua natura, a mantenere l’omeostasi del suo sistema energetico interiore, scaricando, rimuovendo o sublimando le pulsioni che minacciano il suo equilibrio. Il comportamento dell’uomo sarebbe dunque spiegabile semplicemente alla luce di questa fondamentale esigenza.
A grande distanza da questa concezione meccanicista della natura umana, gli psicologi appartenenti all’area Umanistica e Transpersonale della Psicologia propongono invece un modello basato sull’attribuzione di scopo, senso e valore all’esistenza umana.
L’uomo, in altri termini, dirigerebbe la propria vita sulla base di una spinta interiore a realizzare la propria individualità, basata, secondo psicologi transpersonali come Roberto Assagioli, sulla presenza nell’uomo di un Io Superiore che trascende anche la definizione di Sé data da Jung.
In base alla mia personale esperienza credo di poter affermare che questa condizione, che attribuisce all’esistenza umana un valore e una natura di grande elevazione, sia una caratteristica applicabile ad un numero relativamente piccolo di persone.
Essa deve comunque essere menzionata quando si parla di normalità in psicologia, perché in casi come questi la normalità passa anche per momenti di grave difficoltà, quando lo scopo e il fine ultimo attribuiti all’esistenza tracciano il percorso da seguire ed alimentano il cuore indipendentemente dalle circostanze che devono essere temporaneamente affrontate.
Il bisogno di normalità passa dunque in secondo piano quando il conflitto interiore, normalmente concepito come “nevrosi”, “disagio” o “crisi” costituisce una manifestazione temporanea, o addirittura un’opportunità per pervenire a più ampie ed elevate dimensioni della coscienza.
Detto in termini forse più poetici che psicologici, la normalità rischia di cristallizzare l’anima, in persone il cui principale scopo nella vita è quello di scoprirne il più profondo significato. Ciò che comunemente è ritenuto normalità, intesa come assenza di conflitti interiori o inquietudini, non è necessariamente la meta più ambita per coloro che non sono disposti a rinunciare al desiderio di adempiere al proprio personale destino di realizzazione psico-spirituale.
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NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) – Carotenuto A., Trattato di psicologia della personalità, Raffaello Cortina Editore
(2) – Bergeret J., La personalità normale e patologica – Le strutture mentali, il carattere, i sintomi, Raffaello Cortina Editore