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Molti sono stati gli autori che in ambito psicologico hanno proposto riflessioni sul significato psicologico del mito di Prometeo. La sua drammaticità si presta infatti a diverse sfumature interpretative. Il mito riguarda la narrazione relativa al Titano che rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini, ricevendone in cambio una terribile punizione.
Riletto in chiave psicologica, il mito prometeico va oltre l’essere un mero racconto arcaico. Grazie alla sua potente risonanza simbolica, riesce infatti ad assumere il ruolo di modello interpretativo in grado di offrire spunti illuminanti sulle dinamiche della coscienza, sulla natura della creatività e sul senso dell’esperienza del dolore.
Come probabilmente è noto, il mito di Prometeo racconta del modo in cui l’autorità di Zeus viene sfidata dal Titano al fine di sottrarre agli dei il fuoco da donare agli esseri umani. Per il padre degli dei, tale gesto di trasgressione non può rimanere impunito, e Prometeo viene incatenato ad una roccia. Quotidianamente, un’aquila gli divora il fegato che però ricresce nel corso della note. In tal modo, il tormento si perpetua senza fine.
Si tratta dunque di un antico racconto che ancora oggi può offrire interessanti spunti su alcuni aspetti fondamentali della condizione umana. Come tutti i miti è naturalmente interpretabile a diversi livelli di significato. In questo scritto ci limiteremo ad offrire qualche considerazione psicologica riguardante aspetti come l’anelito profondamente umano alla conoscenza, il desiderio di autonomia, il valore del sacrificio per un bene più grande o l’accettazione della sofferenza in virtù di ideali più nobili.
Sono davvero numerose le proposte di interpretazione del Mito di Prometeo ancora valide nel panorama psicologico moderno. Vorrei qui soffermarmi su alcune di esse che ho trovato particolarmente interessanti e in linea con la mia personale visione della psicologia.
Aldo Carotenuto: Prometeo come principio di differenziazione psicologica
Interessanti elementi di riflessione sono contenuti nell’analisi del mito di Prometeo proposta dal prof. Aldo Carotenuto, nel suo testo “Le lacrime del male”1. Un primo aspetto psicologico rintracciabile nel mito di Edipo su cui si sofferma l’autore, riguarda la spinta creativa verso la ricerca dell’elisir della vita, della sapienza e della conoscenza. Questo porterebbe però con sé la superbia dell’Io che tenta di sfuggire alle leggi della finitudine umana per farsi simile al dio.
E per questa ragione, non sarebbe un caso che Prometeo sia stato poi condannato a terribili punizioni che, secondo Carotenuto, “non sono l’ingiusta vendetta degli dèi invidiosi, ma un necessario, doloroso passaggio da uno stato di dipendenza psicologica a quello dell’autoconoscenza che è, in primo luogo, coscienza dei propri limiti”.
Prometeo, a differenza di altri eroi solari che avevano a loro volta disobbedito alle leggi divine come Ercole o Sansone, sarebbe però lucido nel suo agire. Era consapevole che sarebbe andato incontro ad una dolorosa punizione. Me tutto questo non costituiva per lui un ostacolo. Non si trattava, come fa notare l’autore, di azioni dettate semplicemente dall’emotività. Erano azioni premeditate.
“Tuttavia”, prosegue Carotenuto, “tale coscienza e tale volontà non lo preservarono dall’inflazione psichica; anzi il
successo lo rese imprudente, facendogli presumere di essere capace di compiere qualsiasi impresa e che nulla gli fosse ormai impossibile.
Il fuoco che Prometeo ruba simboleggia una forza talmente potente e pericolosa da non poter essere facilmente padroneggiata: lui stesso deve infatti ricorrere a un particolare stratagemma per poterlo trafugare.
Il fuoco prometeico rappresenta una eccessiva intellettualizzazione della vita, è logos unicamente razionale, al contrario di quello di Zeus che è forza spirituale e sublimatrice. Il fuoco prometeico, la hybris del conquistatore, senza la luce della spiritualità, può portare a conseguenze nefaste”.
Si tratta di un aspetto complesso, a cui poi l’autore aggiunge la seguente precisazione: “Prometeo era un Titano, e sappiamo che i Titani erano i più antichi fra tutti gli esseri viventi dotati di una forza straordinaria e di una natura impulsiva. Essi possono rappresentare la forza che muove l’individuo creativo o colui che cerca una differenziazione psicologica. Ma la sensazione di eccezionalità e di unicità, se portata alle estreme conseguenze, può sfociare nella distruzione”.
E’ interessante poi notare come Carotenuto consideri la coppia Prometeo-Zeus come un complesso di opposti. Con il primo l’autore identifica il fuoco della passione umana che cerca di raggiungere la superiorità divina. Con il secondo, la luce dello spirito, quella fiamma che non consuma ma illumina. Il fuoco prometeico sarebbe in ogni caso energia creativa, fecondante, adatto a creare nei più svariati ambiti della conoscenza.
Molto interessante a mio avviso è anche la riflessione sul senso della solitudine di Prometeo. Il Titano viene “crocifisso” su una vetta altissima, circondata dal deserto nelle vicinanze del mare. Osserva Carotenuto che “Il senso tragico della solitudine infinita non è però simile a quello di Cristo: sin dall’inizio, infatti, Prometeo rifiuta di essere un pharmakos, ossia una vittima sacrificale. Egli non perde, anche in una situazione così umiliante, la sua grandezza, non si piega, non si pente. Egli non rinnega le sue azioni, non fa voce di alcun pentimento, continuando a manifestare la fierezza della sua natura che lo spinge, indomito, ad andare sempre avanti”.
Questo esilio e questo dolore generano una prima trasformazione. Condizioni come queste generano sovente una rottura, che costringe l’individuo ad una lotta per la salvezza. E questa lotta deve avvenire in solitudine. Le grandi prove vengono sempre affrontate senza l’aiuto di nessuno: “Possiamo per un certo tempo accompagnarci a qualcuno, ma dinanzi alle grandi iniziazioni siamo sempre soli. Nella solitudine, però, le energie fino a poco prima catalizzate e investite nell’imitazione di modelli esterni, refluiscono all’interno ristrutturando i contenuti inconsci. È questa la premessa per l’emergere di una nuova visione della realtà, di un nuovo orientamento della coscienza”.
L’emergere di una nuova consapevolezza non è però sufficiente ad arginare un altro pericolo: quello della “hybris”, la tracotanza che potrebbe spinge a credersi abbastanza potente da poter controllare le forze inconsce della psiche. Nel mito, Prometeo rimane trincerato nella sua intransigenza, nel suo atteggiamento di sfida che provocherà inevitabilmente le ire del signore dell’Olimpo.
La punizione avviene mediante la precipitazione al centro della terra, e questa discesa al buio, nel Tartaro, dove Prometeo rimarrà per duemila anni “ha finalmente il potere di ridimensionare l’atteggiamento dell’eroe. È inutile sottolineare il significato simbolico di ritorno regressivo alla madre terra-inconscio”.
Ma la sua espiazione non è conclusa ancora. Al ritorno sulla terra, Prometeo sarà incatenato sul monte Caucaso e sottoposto alla tortura orribile dell’aquila che gli divora il fegato.
“Tale tortura potrebbe significare, simbolicamente, una sublimazione del suo originario atteggiamento titanico. Il tormento dell’aquila può essere considerato una variazione del tema dello smembramento che da un punto di vista
psicologico rappresenta la distruzione e la modificazione di un certo assetto psicologico. Ricordiamo che il fegato è connesso all’universo delle passioni, e la sua mutilazione rivela, quindi, la vulnerabilità di Prometeo. L’aquila che mangia e digerisce il fegato di Prometeo è il simbolo della trasformazione delle parti istintuali e della loro metabolizzazione per un utilizzo cosciente”.
In conclusione, Carotenuto sottolinea come questa riflessione sul mito vuole sottolineare la differenza tra due diversi atteggiamenti. Il primo riguarderebbe “l’azione trasgressiva, apportatrice di nuova consapevolezza e realmente trasformatrice della coscienza”, mentre il secondo si configurerebbe più che altro come “la ribellione dell’individuo che cerca un’autogiustificazione alla denigrazione dei suoi simili per lanciarsi verso un “volo” che in realtà finisce
per distruggerlo”.
Rollo May: Il mito di Prometeo e la spinta creativa
Vorrei menzionare anche un’interessante riflessione riportata nel testo “The Courage to Create”2 di Rollo May. L’analista americano propone una lettura del mito di Prometeo in termini di “creatività” artistica. Ma soprattutto, come già fatto da altri autori, accenna anche alla somiglianza tra il mito di Prometeo e quello di Adamo ed Eva.
Il furto del fuoco, spiega Rollo May, è considerabile come l’inizio della civiltà, anche nel mondo della filosofia, della scienza, del teatro e della cultura stessa. In tutto questo, l’aspetto centrale è l’indignazione di Zeus. E questa indignazione sarà così potente da condannare Prometeo alla ben nota punizione.
L’aquila che ne divora il fegato, e la sua ricrescita notturna, secondo l’autore, sarebbe un vivido simbolo del processo creativo. “Tutti gli artisti hanno avuto l’esperienza, alla fine della giornata, di sentirsi stanchi, esausti e così sicuri di non poter mai esprimere la loro visione che giurano di dimenticarla e ricominciare tutto da capo su qualcos’altro la mattina dopo. Ma durante la notte il loro fegato ricresce. Si alzano pieni di energia e tornano con rinnovata speranza al loro compito, per lottare di nuovo nella fucina della loro anima”.
Rollo May ricorda poi il fatto che se qualcuno desiderasse archiviare il mito di Prometeo come un banale racconto inventato dalla “giocosità” dei greci, dovrebbe ricordare che nella tradizione Giudaico-Cristiana esiste una rappresentazione della medesima verità, tramite il mito di Adamo ed Eva. E in entrambi i casi si tratterebbe del dramma dell’emergere della coscienza morale.
“Come diceva Kierkegaard”, afferma Rollo May, “a proposito di questo mito (e di tutti i miti), la verità che accade internamente è presentata come se fosse esterna. […] Mangiare la mela dell’albero della conoscenza del bene e del male simboleggia l’alba della coscienza umana. L’innocenza del Giardino dell’Eden – il grembo materno e la “coscienza sognante” (la frase è di Kierkegaard) della gestazione e del primo mese di vita – sono distrutte per sempre.”.
E per rimanere in ambito ancora più strettamente psicologico, l’autore ricorda anche che la funzione della psicoanalisi è proprio quella di aumentare la coscienza. In termini simbolici, di aiutare le persone a mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male. E non dovrebbe sorprendere nessuno se questa esperienza risulta essere terrificante.
“Al posto della beatitudine innocente, il bambino ora sperimenta ansia e sensi di colpa. Inoltre, come parte dell’eredità del bambino c’è il senso di responsabilità individuale e, cosa più importante di tutte, lo sviluppo solo più tardi, della capacità di amare. Il lato “oscuro” di questo processo è l’emergere di repressioni e, in concomitanza, di nevrosi”.
Rollo May, ritorna poi sul tema della creatività, con una riflessione che appare piuttosto in linea con la sua visione “esistenzialista” della psicologia. L’autore menziona il fatto che Prometeo poteva essere liberato solo da un immortale che avesse rinunciato alla sua immortalità. E ciò fu fatto da Chirone. L’enigma sarebbe pertanto strettamente connesso al problema della morte, e lo esprime con le seguenti parole:
“La battaglia con gli dei dipende quindi dalla nostra mortalità! La creatività è un desiderio di immortalità. Noi esseri umani sappiamo che dobbiamo morire. Stranamente, abbiamo una parola per indicare la morte. Sappiamo che ognuno di noi deve sviluppare il coraggio di affrontare la morte. Ma anche noi dobbiamo ribellarci e lottare contro di essa. La creatività nasce da questa lotta, dalla ribellione, dall’atto creativo che nasce. La creatività non è semplicemente l’innocente spontaneità della nostra giovinezza e infanzia; Deve anche sposarsi con la passione dell’essere umano adulto, che è una passione per vivere oltre la propria morte”.
Gaston Bachelard e il “Complesso di Prometeo”
Infine, ho trovato interessante anche una breve considerazione del filosofo francese secondo la quale nell’essere umano emergerebbe una “volontà di intellettualità”. Bachelard propone di definire “Complesso di Prometeo” quella tendenza che spinge al sapere “come i nostri padri, più dei nostri padri, come i nostri maestri, più dei nostri maestri”3.
L’anelito alla conoscenza viene qui riconosciuto come una sorta di “istinto” fondamentale nell’essere umano, al pari di altri. “La supremazia di istinti più potenti”, prosegue Bachelard, “rappresenta, naturalmente, una tentazione per un numero assai più grande di individui, ma anche le caratteristiche più rare devono essere esaminate dallo psicologo”.
Non posso che accogliere con grande interesse questa osservazione apparentemente scontata. Compito della psicologia, secondo il filosofo francese, è quello di studiare con attenzione anche quelle caratteristiche che possono apparire meno frequenti e generalizzate, o meno potenti per intensità e interesse.
Concludendo il suo pensiero Bachelard afferma infatti che “se l’intellettualità pura è eccezionale, non è per questo meno caratteristica di un’evoluzione specificamente umana”. Ma forse, l’aspetto più curioso che rafforza il suo ragionamento è l’affermazione che “il complesso di Prometeo è il complesso di Edipo della vita intellettuale”.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
1. Carotenuto A., 2004, Le lacrime del male. Tascabili Bompiani;
2. May R., 1994, The Courage to Create, W.W.Norton & Company, Reprint edition (1994)
3. Bachelard G., 2010, L’intuizione dell’istante. La psicoanalisi del fuoco. Edizioni Dedalo
