Sul mito e sul Complesso di Edipo è stata scritta una quantità notevole di pagine nella letteratura psicologica. Si tratta infatti di una figura archetipica così potente nell’ambito degli aspetti descrittivi delle dinamiche che governano la nostra psiche che vale sempre la pena dedicarvi qualche riflessione.
Come è noto, la più celebre esposizione sul Complesso di Edipo è stata formulata da Sigmund Freud, ormai più di un secolo fa. Il padre della Psicoanalisi notò una curiosa analogia tra la tragica sorte toccata ad Edipo ed una delle più importanti tappe di sviluppo psichico che, secondo gli psicoanalisti, l’essere umano deve attraversare e superare in giovanissima età per poter giungere alla piena maturità sessuale senza particolari traumi o conflitti.
Il mito di Edipo
Edipo fu un leggendario eroe della tragedia greca, narrato nel capolavoro di Sofocle, “Edipo Re”. Per meglio comprendere il motivo per cui questo mito (e il relativo complesso) abbiano avuto tanta fortuna nello sviluppo della psicoanalisi riportiamo innanzitutto la sintesi del mito, che possiamo trovare nel Dizionario dei Simboli (Chevalier-Gheerbrandt)(2):
“Avvertito da un oracolo che suo figlio lo avrebbe ucciso, Laio – padre di Edipo – fece forare le caviglie del bimbo appena nato e le legò ad una correggia: di qui il nome piede gonfio (Oidipus). Il servo che doveva esporlo per farlo morire lo consegnò invece ad alcuni stranieri, pastori o re, secondo le leggende, che si presero cura del bambino.
Una volta cresciuto, mentre si recava a Delfo, nel corso di una lite per stabilire a chi toccasse la precedenza in una stretta gola Edipo uccise Laio ignorando che fosse suo padre: si compiva così, a sua insaputa, l’oracolo.
Sulla via di Tebe incontra la Sfinge, un mostro che devastava la regione; l’uccide, è acclamato re e ottiene in moglie Giocasta, la vedova di Laio, sua madre.
In seguito ad oscuri oracoli del vate Tiresia, Edipo scopre l’enormità dei suoi atti (assassino del padre e sposo della madre): Giocasta si da la morte ed Edipo si strappa gli occhi“.
La Psicoanalisi e il complesso di Edipo
Come già accennato, fu proprio Sigmund Freud, padre della Psicoanalisi, ad utilizzare il mito di Edipo come metafora rappresentativa di una dinamica psichica fondamentale nel bambino: l’attrazione per il genitore del sesso opposto e la rivalità con il genitore dello stesso sesso.
Non entreremo qui nel dettaglio di questa dinamica, perché l’obiettivo di questo articolo è solamente quello di offrire qualche spunto di riflessione sull’ipotesi, già espressa nella pagina introduttiva all’argomento “Psicologia e Mito“, che i miti greci siano tutt’ora alla base delle moderne rappresentazioni psichiche umane.
Trattandosi di un complesso che, anche secondo gli psicoanalisti moderni, svolgerebbe un ruolo fondamentale nella strutturazione della personalità è comunque opportuno ricordare che per molti rappresenta tutt’ora il principale punto di riferimento per la psicopatologia. Come riporta il “Manuale di Psicologia Dinamica”(2) la sua impostazione e l’eventuale mancata risoluzione sarebbe infatti alla base di alcune patologie.
Vi sono però modi di osservare le dinamiche psichiche in maniera non necessariamente così meccanicista come alcune correnti psicoanalitiche tendono a fare. Vediamo quindi, di seguito, alcuni aspetti del complesso di Edipo a cui di norma non viene dedicata particolare attenzione.
Joseph Campbell e il Complesso di Edipo
Joseph Campbell è stato un importante saggista e storico delle religioni statunitense. In uno dei suoi più importanti contributi teorici (3) ha suggerito l’idea che gli eroi e i fatti del mito sopravvivrebbero ancora oggi, nelle dinamiche psichiche di ciascuno di noi. Il lavoro degli psicoanalisti, a partire da Freud e Jung, lo avrebbero, a suo avviso, dimostrato con una certa chiarezza.
Afferma infatti che “In questo stesso momento, l’ultima incarnazione di Edipo, i moderni protagonisti della favola della Bella e la Bestia, attendono all’angolo della Quarantaduesima Strada con la Quinta Avenue che il semaforo cambi colore”.
A titolo di esempio, sempre nel testo “L’Eroe dai Mille Volti” riporta il sogno di un giovane uomo il cui matrimonio era da poco fallito:
“Ho sognato che stavo riparando il tetto della nostra casa. All’improvviso udii la voce di mio padre che mi chiamava dal basso.
Mi voltai di scatto per udirlo meglio e, nel volgermi, il martello mi sfuggì di mano, rotolò lungo la falda del tetto e scomparve oltre il cornicione.
Udii un rumore sordo, come di un corpo che cade.
Spaventatissimo, mi precipitai giù dalla scala a pioli.
Mio padre giaceva esanime al suolo, il capo imbrattato di sangue.
Preso dalla disperazione, mi misi a invocare mia madre fra i singhiozzi.
Ella uscì dalla casa e mi abbracciò. «Non disperarti, figliolo, è stato un incidente» mi disse.
«So che tu avrai cura di me, anche s’egli se n’è andato.»
Mentre mia madre mi baciava mi destai”.
Campbell ricorda al lettore che l’uomo viene alla luce troppo presto. Egli rimane per un lungo tempo incompleto e inadatto ad affrontare la vita. La sua unica difesa contro un universo pieno di pericoli è dunque la madre, verso la quale il bambino instaura una relazione di dipendenza assoluta. Da questo deriverebbe un’unità dualistica non solo fisica, ma anche psicologica.
In questo sogno, secondo l’autore, sarebbe dunque chiaramente individuabile il medesimo mito di cui si parla nella tragedia di Sofocle, in cui, molto semplicemente, va in scena nient’altro che la tendenza psicologica al ristabilirsi di quella relazione primordiale in grado di ricostruire l’originario clima di sicurezza perduta.
Campbell quindi, a partire dalla sua straordinaria conoscenza dei miti di tutto il mondo, arriva comunque ad offrirne una chiave di lettura di tipo psicoanalitico, ritrovando ad esempio numerose corrispondenze con la formulazione dei concetti di Archetipo e di Inconscio Collettivo suggerita da Jung.
James Hillman: il riconoscimento psicologico del vero padre
Come spesso accade, le riflessioni di James Hillman offrono preziosi spunti di riflessione o, come in questo caso, riescono addirittura a spiazzare il lettore. In uno dei suoi testi più celebri (4), afferma che Freud, scegliendo il mito di Edipo, più che mostrare quale fosse il mito che costituisce l’essenza della psiche, ha di fatto affermato che l’essenza della psiche è il mito. La psicologia, a suo avviso, è di fatto mitologia, lo studio delle storie dell’anima.
Hillman prosegue il suo ragionamento affermando poi che“… la storia che egli [Freud] ha scelto di raccontarci si è lasciata dietro una scia di questioni maledette: assassinio del padre, guerre di generazioni, desideri irrisolti di incesto e grovigli incestuosi sia nei rapporti sia nelle idee, il femminile distorto nella forma di Giocasta, l’Anima come un enigma intellettuale con il corpo di un mostro, e ovunque distruzione – suicidio, pestilenza e sterilità, impiccagioni, accecamenti – una distruzione destinata a passare alle generazioni future. E’ questo il nostro mito?”
Come possiamo raggiungere la “creatività psicologica” a partire proprio da questo mito? E questo è di fatto il cuore del ragionamento di Hillman. A suo avviso, la scoperta della propria autenticità interiore coincide di fatto con la scoperta del vero padre. Questa scoperta può produrre accettazione e legittimazione entro sé stessi e nella società, allontanando l’uomo dal bisogno di ricorrere a modelli presi a prestito.
Non si tratta della ricerca del padre storico attraverso la genealogia, ma di “ciò che nella psiche continua a creare, la specifica natura del principio creativo operante nel campo della psicologia”.
Edipo, la psicoanalisi, la famiglia
Nel testo “Figure del Mito” (5) Hillman offre un’interessante riflessione anche sul modo in cui la psicoanalisi ha sempre guardato alla famiglia come nucleo da cui di fatto si origina il proprio fato. Ma se la famiglia ha un peso così importante per lo psicoanalista, ciò è dovuto proprio al fatto che “ognuno di noi è veramente Edipo, e non perchè la nostra anima desidera la madre, bensì per il nostro essere nell’anima, creature mitiche”.
L’uomo si affaccerebbe alla vita semplicemente come personaggio di un dramma già scritto dai “grandi narratori della nostra cultura”, in cui la propria situazione familiare è, con sfumature differenti, trasponibile nel dramma edipico. E nulla di questo andrebbe considerato su un piano letterale. Nulla di tutto questo dovrebbe costituire un fatto storico dotato di potere deterministico. Si tratta semplicemente, secondo Hillman, di emozioni e configurazioni relative al modo in cui “veniamo ad essere rimitologizzati”.
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NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) – Chevalier, Gheerbrant, 1999, Dizionario dei Simbolo, BUR
(2) – Lis, Stella, Zavattini, 1999, Manuale di Psicologia Dinamica, Soc.Editrice Il Mulino, Bologna
(3) – Campbell J., L’Eroe dai mille volti, Edizioni Lindau
(4) – Hillman J., Il mito dell’analisi, Adelphi
(5) – Hillman J., Figure del mito, Adelphi