Il mito di Narciso è probabilmente tra i più noti racconti pervenutici dall’antichità classica greca. All’interno del panorama psicologico riveste una particolare importanza perchè Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, utilizzò questo mito per descrivere quella che ancora oggi anche i manuali diagnostici più ateoretici descrivono come “personalità narcisista“.
Robert Graves (1), nel suo testo sulla mitologia greca, riporta il racconto di Narciso evidenziando fin dalle prime righe una frase piuttosto criptica, pronunciata dal veggente Tiresia a Liriope, madre di Narciso: “Narciso vivrà fino a tarda età, purché non conosca mai sé stesso”.
Si potrebbero fare davvero numerose riflessioni su questa affermazione. Ma risulta interessante notare fin da subito come sia la conoscenza di sé a porre fine all’esistenza di Narciso.
Chiunque – afferma ancora Graves – si sarebbe innamorato di Narciso, grazie alla sua straordinaria bellezza. Già all’età di sedici anni poteva contare una nutrita schiera di amanti respinti, di ambo i sessi, essendo “caparbiamente geloso della propria bellezza”.
Tra gli spasimanti vi era la Ninfa Eco, che seguì un giorno Narciso in un fitto bosco mentre il ragazzo era intento a tendere reti per i cervi. La Ninfa, a causa della punizione inflittale per un uso eccessivo della parola, poteva limitarsi a ripetere solamente le ultime parole gridate dall’interlocutore. Rimasta sola con Narciso cercò di interagire, pur con i limiti a lei imposti. Ma nel momento in cui cercò di avvicinarsi per abbracciare il ragazzo venne vigorosamente respinta.
Il mito di Narciso, nella sua tragica evoluzione, raggiunge il suo culmine a partire dal dono che egli fece di una spada ad Aminio, il suo più acceso spasimante. Con quell’arma, Aminio si tolse la vita sulla soglia della casa di Narciso, invocando gli dei affinché vendicassero la sua morte.
E come spesso accade nei miti, la sua richiesta fu ascoltata. Artemide fece in modo che Narciso si innamorasse senza poter soddisfare la propria passione. Un giorno, avvicinandosi ad una fonte “chiara come l’argento né mai contaminata da armenti, uccelli, belve o rami caduti dagli alberi vicini”, si sedette sulla riva e scorse la sua immagine riflessa. Immediatamente e fatalmente se ne innamorò.
Tentò subito di abbracciare quel bel fanciullo che gli stava di fronte, ma si rese poi conto che ciò che vedeva era l’immagine di sé stesso. Rimase dunque per ore ad osservare quello specchio d’acqua, quasi fosse incantato. Usando ancora le parole di Graves, “l’amore gli veniva al tempo stesso concesso e negato, egli si struggeva per il dolore e insieme godeva del suo tormento, ben sapendo che almeno non avrebbe tradito sé stesso, qualunque cosa accadesse”.
Eco non aveva perdonato Narciso, ma soffriva con lui. Pronunciò le parole “O giovane invano amato, addio!”, mentre Narciso si trafiggeva il petto con una spada. Il mito si conclude con la nascita del “narciso bianco dalla rossa corolla” che nacque dalla terra inzuppata del suo sangue. Secondo altre versioni del mito, Narciso morì affogato, cadendo nella fonte nel tentativo di avvicinarsi alla sua immagine riflessa.
Simbolicamente, una morte per annegamento o causata da un spada per mano propria ha implicazioni simboliche decisamente differenti, ma possiamo limitarci qui a constatare che a provocare la morte del povero Narciso è in ogni caso il dolore per l’impossibilità di soddisfare il suo sentimento, mancando quello che in psicoanalisi viene definito “l’oggetto della relazione”.
Il mito di Narciso e il rifiuto della relazione
Il compianto prof. Aldo Carotenuto, psicoanalista e figura di rilievo internazionale per i suoi studi sulla psicoanalisi e su Jung in particolare, riporta in uno dei suoi numerosi testi (2) alcuni significativi pensieri sul mito di Narciso. La sua riflessione parte proprio dall’impossibilità di realizzare l’unione con l’oggetto del proprio amore, che conduce Narciso alla disperazione e alla morte.
Carotenuto fa notare che la vita del ragazzo rimane circoscritta al suo ambiente naturale. Inizia e finisce presso lo specchio d’acqua in cui Narciso troverà la morte. E’ una storia che non prevede un “viaggio dell’eroe” alla conquista del suo posto nel mondo. Ciò che mancherebbe è dunque l’allontanamento dall’ambiente natale, ed il conseguente scontro con la vita indispensabile per una sana costruzione dell’Ego.
Egli rimane pertanto perduto nell’ammirazione della sua immagine riflessa. Questa unilateralità determina un atteggiamento introvertito di tale potenza da escludere una normale vita relazionale. Narciso rifugge l’amore, rimanendo intrappolato nella contemplazione della propria immagine fino alla morte.
La sua non è una solitudine contemplativa, ma il risultato dell’incapacità di vedere al di là delle proprie emozioni, e di attribuire agli altri sentimenti ed emozioni pari ai propri. Come afferma Carotenuto “il solipsismo di cui si parla in psicoanalisi è una specie di ‘incesto intrapsichico’, una condizione quasi autistica in cui si vive l’illusione dell’onnipotenza, di una reale autosufficienza“.
La condizione della personalità narcisistica è infatti caratterizzata da “un’imponente investimento nella propria immagine, a spese del sé“. In altri termini, l’immagine di sé così artificiosamente creata assume un rilievo a tal punto dominante che a farne le spese è la costruzione di un Sé autentico e consapevole.
I sentimenti che contraddicono questa immagine idealizzata vengono negati e rimossi, come meccanismo difensivo nei confronti dei vissuti di vulnerabilità, vuoto ed angoscia derivanti da una debole strutturazione del Sé.
Questi forti sentimenti di inferiorità e di nullità vengono rimossi, dando vita al paradosso dello sviluppo compensatorio di fantasie di grandiosità, ambizioni smisurate e una eccessiva dipendenza dall’approvazione e ammirazione altrui. In sostanza, fin dall’infanzia il soggetto che sviluppa una personalità narcisista è caratterizzato dall’identificazione con un’immagine idealizzata di sé, perchè quella reale risulta inaccettabile.
Il paradosso di Narciso, secondo Carotenuto, è dunque il fatto che “si ama ma non si stima”. Qualunque sia l’immagine dietro a cui si nasconde, qualunque sia la maschera che decide di portare o il costume che sceglie di indossare, il “narciso” rimane comunque una persona caratterizzata da una grande sofferenza.
Egli rimane perennemente in preallarme e in tensione. La sua personalità non è una solida roccaforte su un’altura che domina la vallata. Della roccaforte possiede solamente le imponenti difese relazionali, per la grande paura di misurarsi con la realtà.
Di questo mito, colpisce particolarmente anche il fatto che Eco assiste alla fine di narciso, ancora eternamente innamorata. La Ninfa, stando a quanto riportato nel racconto, è ormai presente solo nella forma di un eco verbale e non in un corpo fisico. E’ questo il triste destino a cui purtroppo sembrano andare incontro molte persone che tentano di relazionarsi con persone narcisiste totalmente incapaci di un rapporto empatico, partecipe e vivo.
Si rischia di rimanere sullo sfondo, come un eco nell’ambiente, ma in ogni caso fatalmente attratti dal fascino del proprio Narciso. Si rischia di soffrire assieme a lui senza rendersi davvero conto di quanto stia realmente accadendo, assistendo impotenti alla sua indisponibilità al confronto autentico.
Narciso e la sublimazione idealizzante
In netta contrapposizione alla visione psicoanalitica classica, il filosofo dell’immaginario poetico ed artistico Gaston Bachelard tenta di introdurre un innovativo ampliamento rispetto alla figura psicologica di Narciso. In una delle sue opere più conosciute (3) offre una riflessione utile a quella che l’autore definisce come “psicologia dell’immaginazione”.
Narciso, di fronte all’acqua avrebbe una “rivelazione della propria identità, della sua dualità, la rivelazione della sua duplice potenza virile e femminile, la rivelazione soprattutto della sua realtà e della sua idealità”. Ciò che prende vita accanto alla sorgente sarebbe quindi un “narcisismo idealizzante“, che, sottolinea Bachelard, non ha ricevuto idonea attenzione da parte della psicoanalisi.
Il narcisismo, dal suo punto di vista, non sarebbe infatti sempre nevrotizzante. Avrebbe un ruolo positivo nell’opera estetica, che potrebbe in questo modo essere svincolata dalla ristretta visione psicoanalitica che la considerava il frutto della sublimazione degli istinti.
Il filosofo afferma infatti che “la sublimazione non è sempre la negazione di un desiderio; non si presenta sempre come una sublimazione contro degli istinti. Può trattarsi di una sublimazione per un ideale”.
L’affermazione di Narciso non sarebbe dunque “Mi amo così come sono”, ma “Sono così come mi amo. Esisto con effervescenza, perchè mi amo con fervore. Voglio apparire, dovrò pertanto aumentare la mia apparenza”. E sarebbe proprio in questo modo, secondo Bachelard, che la vita si copre di immagini, si ravviva, cresce, trasforma l’essere e fiorisce. Nella metafora floreale del mito di Narciso la vita si tinge di bianco, assume un nuovo corso. “La vita reale si comporta meglio se le si consentono giuste evasioni nell’irrealtà”.
Ma Narciso, afferma ancora il filosofo, non sarebbe impegnato solamente nella contemplazione di sé. La sua immagine sarebbe anche il centro di un universo. E’ la foresta intera che si riflette. E’ il cielo intero che viene in questo spazio a prendere coscienza della propria grandiosa immagine. Un narcisismo cosmico, secondo la definizione di Bachelard, che si propone come continuazione del tutto naturale del narcisismo egoista di Narciso, e che si declinerebbe nel fatto che “sono bello perchè la natura è bella; la natura è bella perchè io sono bello”.
L’immagine è particolarmente poetica, e ho ritenuto interessante riportarla in questa riflessione sulla figura di Narciso. Nella visione di Bachelard sembrerebbe però rimanere verosimilmente irrisolta la questione relativa all’assunzione di consapevolezza. L’universo si riflette assieme a Narciso e contempla sé stesso. Immagine stupenda, ma l’universo basta a sé stesso. Non sembra dover risolvere il problema dell’assunzione di un Sé individualizzato e cosciente, possibile solamente attraverso dinamiche relazionali complete ed equilibrate.
NOTE BIBLIOGRAFICHE:
(1) – Robert Graves, I Miti Greci, Longanesi
(2) – Aldo Carotenuto, Il fondamento della personalità, Bompiani
(3) – Gaston Bachelard, Psicanalisi delle Acque – Purificazione, morte e rinascita, Red Edizioni