Il senso della vita è un’illusione?

La ricerca del senso della vita può apparire un'illusione, o una meravigliosa opportunità di avvicinamento al mistero più grande
Il senso della vita è un’illusione
Il senso della vita è un’illusione
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La questione del senso della vita è un aspetto che mi viene costantemente riproposto dalle persone che incontro nel mio lavoro di psicologo. Per quanto possa sembrare scontato che i problemi della maggior parte delle persone abbiano una natura “pratica”, è oggi notevole il numero di individui che si interroga sul senso del proprio esistere. E altrettanto grande è il numero di persone che si impegnano nell’indagine su ciò che distingue una semplice illusione da ciò che invece può dare un significato profondo alla propria esistenza.

Un recente articolo riportato su Psychology Today dal titolo “Is the Meaning of Life an Illusion?” riporta alcune delle riflessioni più tipiche su cui tendiamo a soffermarci quando questo argomento si fa strada nella nostra mente.

L’autrice, la dottoressa Iskra Fileva, apre il suo ragionamento ricordando come a volte ci chiediamo se davvero esista un senso nella nostra vita, dal momento che siamo spesso coinvolti in routine quotidiane che hanno tutte le caratteristiche per essere ritenute del tutto inutili e ripetitive.

Anche quando siamo attanagliati da svogliatezza e apatia è davvero dura avere l’impressione che esista uno scopo nella vita. Come afferma l’autrice, in momenti come questi potremmo addirittura pensare che chiunque non percepisca la vita come assolutamente priva di uno scopo stia semplicemente alimentando una vana illusione.

La questione del senso della vita torna a farsi concreta quando abbiamo invece progetti in corso a cui teniamo molto, o quando siamo motivati e coinvolti in attività interessanti e di valore. E tutto questo potrebbe dare origine alla sensazione che la vita possa avere un significato unicamente quando appare piena, interessante e gioiosa.

Senso della vita e senso della fine

Ma anche le vite più importanti e significative, prosegue la dott.ssa Iskra Fileva, sono destinate a giungere alla loro fine. Ogni esistenza è destinata ad una fine e ad essere dimenticata, anche quelle che più avranno creato valore, relazioni e benessere condiviso. La morte di una persona che ha lasciato un segno indelebile nelle menti e nei cuori di molte persone costituisce una grave perdita per tutti. Ma dopo un certo tempo, nessuno saprà mai chi fosse. Nessuno saprà forse nemmeno che quella persona sia esistita. La sua vita appariva estremamente ricca di significato. Ma lo era davvero?

Non sono solamente le persone a morire. Intere civiltà sono scomparse, senza che nessuno (o quasi) oggi si preoccupi di ciò che accadde al tempo in cui erano fiorenti. Un giorno scomparirà anche la civiltà attuale, ed il medesimo ragionamento può essere applicabile all’intero pianeta.

I filosofi esistenzialisti avevano ben chiare le implicazioni di riflessioni di questo tipo. Jean Paul Sartre affermava ad esempio che nel momento in cui l’uomo realizza la sua condizione di mortalità, non può che concepire il senso della vita come un’illusione.

Esistono diversi modi in cui possiamo trovare un rimedio alla mancanza di motivazione, alla tristezza, all’apatia e a tutte quelle condizioni che tendono a farci percepire la vita come priva di senso. E non di rado problematiche come queste sono all’origine delle richieste d’aiuto che giungono allo psicologo. Ma quali rimedi abbiamo di fronte alla prospettiva della nostra morte?

La prospettiva dell’eternità

Una prospettiva diversa che l’autrice offre per affrontare la questione è quella, per così dire, dell’eternità. Ciò che sperimentiamo ora, nel presente della nostra vita, sembra avere importanza ai nostri occhi, naturalmente. Ma niente di tutto questo avrà importanza tra mille anni, e men che meno tra un milione.

Per cui potremmo chiederci se davvero ciò che noi riteniamo importante oggi abbia davvero un senso, o se ci appare importante solamente da una prospettiva temporanea e fuggevole. Si potrebbe cinicamente anche affermare che alla fine tutto accade a fin di bene, in un certo senso. Persino le nostre azioni peggiori sono destinate a scomparire nel nulla.

E curiosamente, in questa prospettiva, potremmo persino trovare sollievo dai nostri tormenti, individuali e collettivi, se li osservassimo dal punto di vista dell’eternità. Seguendo sempre il ragionamento dell’autrice, se davvero a lungo termine tutto finisce per non contare più nulla, forse potremmo (o dovremmo) anche accettare ciò che accade nelle nostre vite con maggiore equanimità. Con noi non moriranno solo i nostri successi, ma anche il peggiore dei nostri fallimenti.

L’universo, inquadrando la prospettiva in quest’ottica, si presenta ai nostri sensi come una realtà in cui la vita e la coscienza scompariranno senza lasciare traccia. E in un simile contesto, non può esistere un senso, e nemmeno la possibilità di un senso. Ma nonostante questo, come afferma la dott.ssa Iskra Fileva, trovare un senso al nostro esistere è comunque compito nostro.

Ciascuno di noi, a suo avviso, per quanto lunga o breve sarà stata la propria esistenza, incarnerebbe però in qualche modo il miracolo della vita. Tale sarebbe infatti la vita stessa, e ancor di più la vita cosciente ed autocosciente, essendo in qualche modo riuscita ad emergere dalla materia inorganica nonostante le condizioni di estrema improbabilità.

Una possibile riflessione psicologica sul senso della vita

Non è solo l’autrice dell’articolo citato ad insistere su una prospettiva in cui spetta a noi trovare un senso alla nostra vita. Approcciando la questione razionalmente, non sembra infatti esserci via di scampo al tipo di visione che attribuisce illusorietà alla ricerca del senso della vita. Ma personalmente credo che l’opportunità che l’esistenza umana offre a noi mortali possa essere ben più profonda e ricca di significato.

Il fatto che le più comuni prospettive scientifiche moderne non lascino spazio alla possibilità dell’esistenza di un senso più ampio e globale rispetto a quanto siamo in grado di dare noi alla nostra singola esistenza individuale, non dovrebbe comunque porci nella condizione di rinunciare ad esplorare questa possibilità.

Concordo nel definire la vita come un “miracolo”, se considerata nella prospettiva del suo emergere dalla materia inorganica. Ma sono ancora più persuaso del fatto che la vita sia anche un mistero. Nonostante la bellezza e la straordinaria importanza delle rivelazioni che gli scienziati sono stati in grado di intuire sul fenomeno della vita, tante domande affascinanti rimangono ancora avvolte nel mistero.

Senza dubbio la nostra vita può apparirci maggiormente significativa quando le circostanze ci sono favorevoli. Ma raramente questa condizione, per quanto sinceramente augurabile a chiunque, ci porta a fare un ulteriore passo in avanti nel pervasivo bisogno umano di rivelare il senso più profondo e autentico della vita, al di là di ogni illusione.

Paradossalmente, è proprio quando la vita offre l’amaro calice del dolore che si risveglia in molte persone il luminoso anelito alla ricerca di quelle verità che tendono altrimenti a rimanere inesplorate. E’ quando si fanno strada in noi qualche tormento interiore o qualche profonda crisi esistenziale che siamo più disponibili ad orientare la nostra mente nella direzione della bellezza del mistero della vita stessa.

A volte, è proprio nel momento più buio della notte oscura dell’anima che sentiamo il bisogno di interrogarci sul senso della vita. E tutto ciò che si rivela a noi in quei rari momenti di luminosità e trascendenza, tutto ciò che abbiamo il privilegio di scoprire percorrendo questa difficile strada, è, nel cuore stanco ma pulsante del sincero cercatore, quanto di più lontano vi possa essere da un’illusione

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