Vorrei riportare tre esempi tra le numerose domande e dubbi che, sulla base della mia esperienza, le persone tendono a porre a loro stesse nel momento in cui valutano la possibilità di iniziare un percorso psicologico. L’idea di valutare la richiesta di un ciclo di sedute di consulenza o supporto psicologico può sollecitare le nostre emozioni, anche in maniera considerevole.
Le aspettative possono essere tante, e molto diversificate in base alle caratteristiche personali. Probabilmente nessuno può però rimanere del tutto indifferente di fronte alla scelta di condividere in profondità la propria vita con un altro essere umano, anche se tutto ciò avviene in un contesto professionale e di assoluta discrezione.
Ecco quindi alcune riflessioni che potrebbero chiarire qualche aspetto e fornire alcune indicazioni, utili soprattutto quando il dubbio suggerisce di procrastinare a tempo indeterminato la decisione iniziare un Percorso Psicologico.
Durante le sedute del percorso psicologico, si fa conversazione normale?
No. O meglio, le modalità di interazione sono certamente molto simili a quelle di una normale conversazione. Si tratta infatti pur sempre di un colloquio, dove a turno si prende parola. Per quanto riguarda i contenuti o gli aspetti formali della conversazione ci sono però fondamentali differenze.
Il colloquio non è fine a sé stesso. E’ a tutti gli effetti uno “strumento di lavoro“, mediante il quale si possono esplorare assieme quelle aree del vissuto personale che risultano interessanti ai fini degli obiettivi stabiliti.
Quando ci si rende conto che, sulla base dei contenuti che emergono, delle emozioni provate e delle modalità di interazione non sembra esserci un valore aggiunto rispetto ad un colloquio che la persona potrebbe tranquillamente fare con un amico, allora molto probabilmente c’è qualcosa di rivedere profondamente.
Il colloquio con lo psicologo non è e non può essere una normale conversazione. Può essere del tutto normale in una fase iniziale, perché è richiesto il giusto tempo per conoscersi, stabilire le modalità di interazione e creare un ottimale clima di empatia. Ma, con i giusti tempi, è necessario che subentri da parte di entrambi la percezione e la consapevolezza della natura supportiva e riabilitativa del lavoro psicologico in corso.
Se non ci saranno miglioramenti, la causa sarà solamente il mio scarso impegno?
Questo dipende molto dalla specifica situazione personale. Senza dubbio, in assenza di interesse personale, fiducia in sé stessi e nello psicologo, e disponibilità ad effettuare un lavoro su di sé anche quando si affrontano tematiche impegnative, tutto rischia di diventare molto più difficile, per entrambi. E’ molto improbabile fare progressi se manca il giusto impegno personale.
Vi è però un altro elemento di grande importanza, a mio avviso. Per poter lavorare bene assieme è necessario che si stabilisca una relazione terapeutica ottimale. Indipendentemente dal tipo di approccio adottato dal professionista, gli esiti di numerose ricerche tendono ormai a convergere verso la conclusione che è la qualità della relazione psicologo – paziente a produrre i risultati nel lavoro svolto.
Per questo motivo, se non ho mai avuto alcun contatto precedente con una persona con cui inizio un lavoro di supporto o consulenza psicologica, cerco sempre di offrire un primo colloquio gratuito. Ciò al fine di poter fare assieme una prima valutazione non solo della specifica situazione personale, ma anche delle aspettative che entrambi ci potremmo formare sulla qualità della relazione terapeutica, con particolare riferimento al “clima emozionale” e all’aspetto empatico.
Credo poi sia doveroso ammettere anche che lo psicologo non è certamente onnipotente, e non ha la soluzione per ogni problema. In caso di mancati progressi non credo sia dunque scontato che ciò derivi unicamente dallo scarso impegno o ad altri fattori attribuibili unicamente al paziente.
Senza dubbio, quindi, anche lo psicologo ha la responsabilità di accertarsi costantemente se sta effettivamente offrendo un contenuto di valore ai propri pazienti.
Quando e come avverrà la conclusione?
Credo sia importante ricordare che qualsiasi percorso psicologico può essere interrotto in qualsiasi momento. Non ci sono vincoli di alcun tipo. Può addirittura essere lo psicologo stesso a proporre l’interruzione, qualora non ci siano elementi che dimostrano l’utilità della prosecuzione del lavoro in corso.
Per quanto riguarda la mia modalità di lavoro la conclusione del percorso dipende ovviamente molto dagli obiettivi stabiliti (che possono variare nel tempo).
Quando si sceglie di lavorare su uno specifico problema, con modalità che possono essere definibili di “counseling psicologico”, la durata del percorso è generalmente piuttosto breve, anche se risulta sempre molto difficile quantificarla anticipatamente con precisione.
A volte è addirittura la persona stessa a chiedere di poter approfondire determinate dinamiche alla base dei propri pensieri e comportamenti, per cui, anche in questo caso, i tempi si possono allungare.
La conclusione, in ogni caso, non è mai brusca. Non ci sono situazioni che possono far pensare al timore dell’abbandono. Ma non ci sono nemmeno impedimenti alla conclusione naturale, quando la persona sente di aver acquisito gli strumenti più opportuni per affrontare la vita con maggiore volontà e consapevolezza.
Personalmente, ritengo che la condizione ideale per la conclusione di un percorso psicologico corrisponde con la capacità della persona di riflettere sulla propria vita con una saggezza del tutto nuova, orientata alla profondità del significato e arricchita del desiderio di una costante crescita.