Gli studi sul pericolo della troppa Intelligenza Emotiva
In un recente articolo apparso sulla rivista Scientific American, dal titolo “Too Much Emotional Intelligence Is a Bad Thing – Profound empathy may come at a price”, vengono esposti i risultati di un’interessante ricerca progettata allo scopo di verificare se le persone dotate di una spiccata intelligenza emotiva, oltre alle ben note competenze sociali, mostrassero anche qualche segno di debolezza in altri ambiti.
Lo studio avrebbe dimostrato che il talento per la comprensione dei sentimenti altrui può a volte condurre ad un vissuto emotivamente stressante. Questa ed altre ricerche nello stesso ambito sembrano dunque suggerire che l’intelligenza emotiva potrebbe non essere una qualità unicamente vantaggiosa per chi ne è dotato.
Lo studio si aggiunge a una precedente ricerca che suggeriva l’esistenza di un “lato oscuro” dell’intelligenza emotiva. Una ricerca pubblicata nel 2002 su “Personality and Individual Differences” suggeriva che le persone più sensibili da un punto di vista emozionale potrebbero essere suscettibili a sentimenti depressivi e di disperazione. Altri studi hanno anche suggerito che l’intelligenza emotiva potrebbe essere utilizzata per manipolare gli altri ai propri fini.
Empatia e Intelligenza Emotiva
Studi come questi sono senza dubbio interessanti, ma dimostrano anche ciò che dovrebbe apparire ovvio: una persona dotata di intelligenza emotiva non può non essere sensibile. E la sensibilità personale ha inevitabilmente a che fare con l’empatia (di cui abbiamo parlato in un precedente articolo), che quando è particolarmente sviluppata si manifesta piuttosto come “contagio emotivo”.
L’Empatia non è un semplice comprendere gli stati emozionali di altre persone, e men che meno un cercare di risolvere i problemi altrui. La persona autenticamente empatica è in grado di entrare genuinamente in risonanza con lo stato emozionale di un’altra persona. E per fare questo è necessario essere sia disposti a connettersi con il proprio stato emozionale interiore più profondo. In altre parole, le emozioni altrui entrano in risonanza con noi facendo vibrare in noi stessi qualcosa di affine a ciò che l’altro, in quel momento, sperimenta.
Lo studio che abbiamo citato dimostra quindi solamente qualcosa che dovrebbe essere dato per scontato: la persona con elevata intelligenza emotiva non può non essere anche molto sensibile, e, com’è noto, la sensibilità ha un prezzo.
Oggi viviamo in un contesto sociale e lavorativo che tende ad incoraggiare lo sviluppo dell’intelligenza emotiva solamente quel tanto che basta ai fini del successo personale. Se questo è di per sè un aspetto estremamente importante e positivo, va anche tenuto conto del fatto che non sono poche le persone che vivono l’esperienza dell’intelligenza emotiva sotto altri aspetti. L’intelligenza emotiva è la base di un valore che sembriamo aver dimenticato: la compassione, che in culture diverse dalla nostra è il fattore più importante per la realizzazione e la felicità personale.
Personalmente ritengo che la persona dotata di una particolare intelligenza emotiva, essendo indubbiamente esposta ai rischi che queste ricerche hanno evidenziato, non debba essere scoraggiata dal vivere pienamente questa dimensione. Non è inibendo le nostre migliori qualità che raggiungiamo uno sviluppo e un equilibrio ottimali (e l’intelligenza emotiva è senza dubbio una delle più importanti), ma integrando quegli aspetti della personalità che possono efficacemente completarci e renderci persone ancora più consapevoli e realizzate.
Come afferma Daniel Goleman, psicologo e scrittore riconosciuto a livello internazionale come il “guru” dell’intelligenza emotiva, oggi abbiamo quanto mai bisogno di questa qualità. Le sue parole, da un testo pubblicato ormai più di vent’anni fa, sembrano oggi più che mai di grande attualità:
“Nei paesi europei, la tendenza generale della società è verso un’autonomia sempre maggiore dell’individuo, che a sua volta porta a una minor disponibilità alla solidarietà e a una maggiore competitività (che a volte può diventare brutale, come si comincia a constatare negli ambienti universitari e in quelli di lavoro);
tutto questo si traduce in aumento di isolamento e nel deterioramento dell’integrazione sociale.
Questa lenta disgregazione della società, insieme a uno spietato atteggiamento di autoaffermazione fanno la loro comparsa in un momento in cui le pressioni economiche e sociali richiederebbero piuttosto un aumento della cooperazione e dell’attenzione verso gli altri e non certo una riduzione di tale disponibilità”.
Lo stesso Goleman, afferma molto acutamente che il termine “Intelligenza Emotiva” include anche autocontrollo, entusiasmo e perseveranza, nonchè la capacità di automotivarsi. Sembra dunque fuori discussione che, benchè un eccesso di emozionalità possa avere i suoi svantaggi, il “dono” dell’intelligenza emotiva in un individuo porta con se aspetti di straordinaria completezza e senso di realizzazione.
2 commenti su “Esiste un “lato oscuro” dell’Intelligenza Emotiva?”
A me l’II mi ha sempre dato problemi. Non mi è mai servita. Mi mette a disagio. Fa dei brutti scherzi. Sembra uno scherzo, la posso mandare via, e torna. Con niente e nessuno me la posso prendere e vi invidio. Cosa mi é stato messo in mano da maneggiare con tanta cura? Almeno condividerla, chiedo. Mi stanco, non imparo e me la tengo così com’è. Questo sono un po’ io.
Grazie Molte per l’articolo doc 😌
Ops.. IE .. sorry