Nel testo di una recente newsletter che ricevo dal sito del Festival Psicologia, veniva riassunto un tema su cui mi è capitato di fare diverse riflessioni negli ultimi anni. Si tratta di quella moderna inclinazione alla “ricerca della felicità ad ogni costo“, spesso definita da alcuni autori anche come “ossessione della felicità” o addirittura “tirannia della felicità”.
L’argomento riportato nella newsletter non è certamente nuovo. Anche in questo sito abbiamo già affrontato più volte il tema della felicità. Approfitterei quindi di questo spunto di riflessione per approfondire una tematica che nel mio lavoro di psicologo mi è molto cara, ovvero la possibilità che abbiamo in quanto esseri umani di riuscire a svincolare la felicità autentica (o meglio, l’autentico stato di gioia) dalle circostanze di vita esteriori.
Quando affronto questo aspetto, molte persone ribattono che “se non hai determinate cose nella vita non puoi essere felice”. Pochi però sembrano rendersi conto che in assenza di un corretto atteggiamento interiore, la felicità rischia di rimanere irraggiungibile anche possedendo le migliori opportunità di realizzazione personale o professionale.
Per non parlare poi del fatto che esistono esempi di straordinario valore umano in cui persone provate da grandi privazioni, da frustrazioni o da dolorose condizioni esistenziali riescono a permanere in uno stato di gioiosa connessione interiore con la loro più elevata autenticità.
E’ come se queste persone, almeno per quanto mi è dato comprendere sul senso autentico della loro esistenza, fossero in grado di invertire il processo fondamentale alla base della realizzazione della felicità nella propria vita.
Per la maggior parte di noi sono infatti solamente le circostanze esterne ad offrire le condizioni che determinano se possiamo essere felici oppure no. C’è chi scommette tutto sulla creazione di solide fondamenta materiali. C’è chi insiste invece sull’importanza dei legami affettivi. Ma si tratta pur sempre, in entrambi i casi, di fare riferimento ad aspetti che appartengono al lato esteriore dell’esistenza.
Esistono però persone, come dicevamo, in grado di invertire questo processo. Invece di ambire a realizzare in sé stesse quell’effimero stato di felicità, soggetto a rapido decadimento e richiedente una costante alimentazione, che di norma le persone inseguono, questi individui sembrano essere in grado di attingere ad una fonte inesauribile di gioia interiore, riuscendo a proiettarla sul mondo esterno.
Il percorso della gioia si realizza dunque a partire da circostanze interiori, e la purezza di questo vissuto viene convogliata verso l’esterno, verso le persone e verso ogni singola realtà quotidiana, più o meno importante, che caratterizza la vita. Perché?
Perché sanno accontentarsi di poco? Perché mancano di ambizione personale? Perché semplicemente vivono come asceti? Perché non hanno voglia di impegnarsi nella lotta per la conquista di una posizione sociale? Perché semplicemente si comportano come “snob” nei confronti del mondo esterno?
Queste sono spiegazioni che senza dubbio possono rendere conto di alcuni comportamenti. Non riguardano però nel modo più assoluto il tipo di atteggiamento di cui stiamo parlando.
Vi sono persone che sono state in grado di costruire uno stato di autentica gioia interiore grazie alla loro straordinaria capacità di interpretare la vita come una costante opportunità di scoperta della loro natura più autentica.
Questa straordinaria abilità consente alle persone con la più elevata nobiltà di carattere di riuscire a trasformare anche le più dolorose e profonde crisi esistenziali nell’opportunità di estendere gradualmente gli spazi delle proprie conquiste interiori. Queste persone dimostrano che la felicità non può dunque essere la diretta conseguenza di una realizzazione finalizzata alla soddisfazione di desideri che si presume si debbano desiderare al fine di vivere una vita perfetta.
Non è dunque necessario essere Buddisti per rendersi conto che il nostro problema non è tanto il fatto di avere desideri, quanto piuttosto l’ignoranza sul perché li abbiamo. E non è nemmeno necessario cedere alla infantile convinzione che, per contrasto, solo una vita ascetica possa farci scoprire l’autenticità della gioia interiore.
Una vita di ricchezza e felicità interiore può benissimo coesistere con una condizione di abbondante realizzazione esteriore, anche materiale, ma solamente nelle persone abbastanza sagge da non confondere il fine con i mezzi.
Tornando al tema fondamentale di questo articolo vorrei ribadire che personalmente ho osservato molto raramente condizioni di gioia interiore di straordinaria bellezza e autenticità in persone la cui vita non le avesse poste di fronte all’opportunità di realizzare quell’inversione di processo a cui abbiamo accennato.
La felicità ad ogni costo, così come si tende a proporla e concepirla oggi, si riferisce dunque ad uno stato molto diverso rispetto a quella condizione di gioia del cuore che pochissimi sembrano sinceramente ed effettivamente conoscere.
Credo potrebbe addirittura essere opportuno evitare di chiamarla felicità, perché spesso si tratta semplicemente di una condizione fisiologica di eccitazione emozionale, che richiede, ai fini del suo mantenimento, la continua ricerca di nuove stimolazioni. Il fenomeno della felicità ad ogni costo può risultare dunque una trappola illusoria di grande fascino per molte persone.
Che un atteggiamento di positività interiore verso la vita possa aiutare in tante situazioni è, direi, una verità autoevidente. Così come sembra essere una verità altrettanto autoevidente il fatto che possiamo fare molto per migliorare il nostro stato di felicità semplicemente modificando alcune nostre abitudini di pensiero. Vi è un gran parlare oggi di tutta una serie di aspetti del “pensiero positivo” proposti come sagge innovazioni psicologiche, ma che altro non fanno se non dimostrare l’ovvio.
Vi sono però momenti nella vita in cui qualcosa in noi sembra chiederci di confrontarci anche con le emozioni più dolorose e prenderne piena consapevolezza. A volte qualcosa in noi sembra insistere su temi come quello della tristezza, della disillusione, della solitudine o del dolore.
Fuggire nell’illusione della felicità ad ogni costo, in momenti come questi, non solo non migliora la situazione ma può addirittura farci perdere l’opportunità di apprendere ad aprirci alla vita in tutti i suoi aspetti, rendendoci più forti, più vivi, più completi, più autenticamente e profondamente umani.
Ed è forse solo in momenti come questi che possiamo comprendere la differenza di atteggiamento tra chi, nella difficoltà, indossa la maschera della “felicità ad ogni costo” e chi invece offre agli altri il gioioso frutto della luminosità del proprio cuore anche nel bel mezzo di un grande dolore interiore.