La nostra vita non è determinata tanto dalla nostra infanzia, quanto dal modo in cui abbiamo imparato a immaginarla
James Hillman
Vi sono senza dubbio, nel corso della nostra vita, eventi in grado di condizionare la percezione che da quel momento in poi tenderemo ad avere della realtà a noi circostante. E ciò inevitabilmente avviene anche nell’infanzia, periodo in cui siamo particolarmente vulnerabili agli eventi che hanno una certa rilevanza affettiva.
La memoria umana non è però un “magazzino” di eventi fedelmente codificati e facilmente recuperabili. La prof.ssa Giuliana Mazzoni, che insegna Psicologia presso la Seton Hall University (New Jersey), in un suo testo piuttosto interessante1 sull’argomento afferma che la nostra memoria non è mai una fotografia esatta di quanto accade, ma un processo ricostruttivo che può essere influenzato da diversi fattori personali o di origine esterna.
Riflettendoci bene, se da un lato questo aspetto riduce le aspettative verso l’affidabilità della nostra memoria, dall’altro può offrire uno sviluppo interessante sul suggerimento implicito nell’affermazione di Hillman.
Abbiamo inevitabilmente un certo tipo di passato alle spalle, ma sappiamo anche che i suoi effetti dipendono molto anche dal modo in cui lo stiamo tutt’ora immaginando, ovvero dal modo in cui siamo riusciti ad attribuirgli un senso.
Il valore di questa affermazione di Hillman è dunque contenuto nella possibilità e nella speranza di riuscire a costruire uno scenario immaginativo diverso sul nostro passato.
Per quanto possiamo essere stati feriti nel nostro passato, per quanto dolorosi possano essere stati alcuni eventi e per quanti fantasmi ancora si agitino in noi, abbiamo sempre la possibilità di donare a noi stessi un po’ di pace dando un senso più costruttivo e di valore a ciò che del passato ancora ci condiziona.
NOTE BIBLIOGRAFICHE:
(1) – Mazzoni G., 2003, Si può credere a un testimone? – La testimonianza e le trappole della memoria, Il Mulino