“Le parole sono creature viventi” è il titolo di un paragrafo di un testo molto interessante di Eugenio Borgna (1), in cui il celebre psichiatra analizza il potere della parola nei percorsi di cura. Si tratta però di una riflessione estremamente utile e preziosa anche allo scopo di prendere coscienza dell’uso che facciamo delle parole nelle nostre relazioni quotidiane, e dello straordinario potenziale in esse racchiuso quando desideriamo avvicinare (o allontanare) le persone.
Al di là dei contenuti, afferma Borgna, sono i modi in cui le parole sono pronunciate a determinarne la dimensione “terapeutica” o “antiterapeutica”. Attraverso i gesti, i silenzi, gli sguardi o le espressioni del volto le parole possono infatti prendere vita con forme molto diverse.
E sono soprattutto le persone che conoscono la sofferenza a percepire con nitida chiarezza le varie sfumature di significato che le parole veicolano. “Chi conosce il dolore e l’angoscia, la tristezza e la disperazione”, prosegue infatti l’autore, “ha antenne estremamente sensibili nell’intravedere il senso nascosto, impalpabile e fluttuante, delle parole; e ogni parola può essere la parola decisiva: la parola che crea fiducia e dilata le risonanze emozionali in chi ascolta; ma anche la parola che accresce con le sue dissonanze l’isolamento e la solitudine, la tristezza e le inquietudini del cuore”.
Le parole sono dunque quelle “creature viventi” in grado di creare, mantenere o distruggere le relazioni che intratteniamo con le persone. Le parole sono naturalmente alla base del processo di cura psicologica. Il loro saggio utilizzo determina la qualità della relazione che si instaura, e possono accompagnare la persona che richiede aiuto verso gli auspicati cambiamenti.
Ma lo stesso possono fare nelle relazioni che intratteniamo nella vita di tutti i giorni. Il compito più grande che ci attende è dunque quello di renderci conto della forza vivente in esse velata, sia per costruire ponti che per creare barriere, e di farcene carico responsabilmente.
Le parole, citando ancora le poetiche espressioni di Borgna, sono allo stesso tempo “il bene più prezioso e più arrischiato che sia stato donato agli uomini. […]nella loro liquida ambivalenza e nella loro plasmabilità possono essere soglie pietrificate dalla indifferenza, o scialuppe di salvataggio nei mari tempestosi dell’angoscia e della disperazione”.
Marshall B. Rosenberg, in un suo testo che ha avuto grande successo (2), esprime un concetto molto simile. L’autore afferma infatti di essere rimasto colpito dal ruolo cruciale del linguaggio e del modo in cui le parole vengono utilizzate. Ciò lo ha portato ad elaborare uno specifico approccio alla comunicazione che è stato definito comunicazione nonviolenta (CNV).
Questa modalità, basata sulla parola e sull’ascolto, pone le persone nella condizione di esprimersi sul piano del cuore, creando connessione con sé stesse e con gli altri, permettendo alla propria empatia di sbocciare.
Il richiamo che pervade l’intero testo è sostanzialmente un vivace invito alla responsabilizzazione nell’uso delle parole. “Anche quando non consideriamo ‘violento’ il modo in cui parliamo” afferma Rosenberg, “le nostre parole portano spesso al dolore e al ferimento, sia di noi stessi che degli altri”. La nostra abilità nell’utilizzare saggiamente le parole è la condizione che ci consente di rimanere umani anche nelle condizioni più difficili.
L’invito che l’autore rivolge al lettore è dunque quello di fare spazio alla piena consapevolezza di ciò che percepiamo, ciò che sentiamo e ciò che volgiamo. Solo in questo modo possiamo superare le nostre reazioni automatiche nell’uso delle parole, scegliendo di esprimerci invece con onestà e chiarezza, prestando nel contempo un’attenzione empatica e rispettosa.
Potremmo in tal modo renderci conto di quanto bisogno vi sia nel mondo di un’educazione ad un uso più consapevole della parola e della comunicazione più in generale. Ritornando ad Eugenio Borgna, possiamo infatti riconoscere apertamente che “se qualcosa può rianimare una persona, una persona che soffre, sono le parole che nascano dal cuore: dalla nostra capacità di risalire dai volti, dagli sguardi, dai frammenti di parole che ascoltiamo, dai silenzi, alla immedesimazione nelle attese, nelle angosce, nei desideri, nelle speranze, degli altri”.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) – Borgna E., 2011, Le Emozioni Ferite, Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
(2) – Rosenberg M.B., 2014, Le parole sono finestre oppure muri, Esserci Edizioni