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L’esperienza del dolore, della sofferenza o del disagio interiore non è certamente tra le più infrequenti nella vita di numerose persone. Molte dei nostri comportamenti, che ne siamo consapevoli o meno, sono finalizzati a scongiurare proprio la possibilità di andare incontro a qualche momento difficile nella nostra vita.
Momenti come questi non sembrano però del tutto evitabili. A volte, le persone colpite da esperienze dolorose ne escono più forti, più temprate e soprattutto più predisposte alla ricerca di un senso nella propria stessa esistenza. Ne abbiamo parlato trattando l’argomento della Resilienza.
Altre volte invece il disagio interiore è talmente forte da costringere l’individuo ad arrendersi e a non sperare più in qualche forma di miglioramento o in un futuro libero dal dolore.
Quali sono i fattori psicologici che fanno propendere per l’una o l’altra di queste due dimensioni? Come possiamo evitare di soffrire? Come è possibile affrontare con maggior tenacia, resilienza, coraggio e fiducia i momenti di difficoltà? Come possiamo superare il disagio interiore ritornando a credere nella vita e in noi stessi? La sofferenza è una necessità di crescita interiore, oppure una semplice fatalità della vita?
Sono alcuni degli interrogativi che immancabilmente sorgono nella nostra coscienza quando ci troviamo di fronte al nostro o altrui disagio. In questo spazio proveremo a proporre alcune riflessioni sulle argomentazioni suggerite dai lettori.
L’importanza di conoscere e sviluppare le nostre risorse interiori per affrontare al meglio il disagio e creare in noi il miglior benessere psicologico possibile è evidente a chiunque, e sarà oggetto di analisi in queste pagine.
E prima di iniziare le nostre riflessioni, qualche lettore potrà forse trovare un po’ di ispirazione dalla lettura di questa poesia di Khalil Gibran…
Il Dolore – di Kahlil Gibran
Il dolore è lo spezzarsi del guscio che racchiude la vostra conoscenza.
Come il nocciolo del frutto deve spezzarsi affinché il suo cuore possa esporsi al sole,
così voi dovete conoscere il dolore.
E se riusciste a custodire in cuore la meraviglia per i prodigi quotidiani della vita,
il dolore non vi meraviglierebbe meno della gioia;
accogliereste le stagioni del vostro cuore come avreste sempre accolto le stagioni che passano sui campi.
E vegliereste sereni durante gli inverni del vostro dolore.
Gran parte del vostro dolore è scelto da voi stessi.
È la pozione amara con la quale il medico che è in voi guarisce il vostro male.
Quindi confidate in lui e bevete il suo rimedio in serenità e in silenzio.
Poiché la sua mano, benché pesante e rude, è retta dalla tenera mano dell’Invisibile,
e la coppa che vi porge, nonostante bruci le vostre labbra,
è stata fatta con la creta che il Vasaio ha bagnato di lacrime sacre.
4 commenti su “Disagio interiore, Sofferenza, Solitudine”
Il dolore è maestro di vita?
Spesso mi sono imbattuta in libri, siti o altre cose che insistevano sul fatto che il dolore, alla fine, è maestro di vita.
Molte volte ho pensato che le persone che fanno affermazioni come queste a cuor leggero, non abbiano un’idea poi così precisa di cosa sia davvero il dolore.
Parlarne è facile. E ancor di più lo è dare consigli o suggerimenti di questo tipo a chi sta attraversando momenti molto difficili.
Credo che prima di poter affermare che dal dolore possiamo apprendere l’arte della vita, o che il dolore possa guidarci verso traguardi di consapevolezza molto più elevati di quelli a cui siamo abituati, sia necessario comprendere molte altre cose…
La ricerca di un senso o di un fine ultimo della sofferenza è di norma un ambito di studio più vicino alla filosofia che alla psicologia. Sarebbe però interessante conoscere il parere di uno psicologo su questo delicato argomento.
Grazie
Armanda
Non posso che essere d’accordo. Non è raro che le persone che affermano con leggerezza che il disagio interiore “è maestro di vita”, che “ci rende più forti” o che “eleva la nostra consapevolezza”, non abbiano mai attraversato l’oscura valle del dolore. La prima cosa che dobbiamo notare e accettare è che il dolore, quando fa il suo ingresso nella nostra vita e indipendentemente dall’ambito che ne viene coinvolto, ci mette in difficoltà. E questa difficoltà è tanto più seria quanto più forte è la percezione che abbiamo di questa esperienza dolorosa.
Ci sono esperienze dolorose che modificano la nostra esistenza in maniera così drammatica, che definirle “formative” offende senza dubbio lo spirito di chi si trova ad affrontarle concretamente. Non abbiamo quindi alcun diritto di biasimare, e nemmeno di compatire, le persone che “faticano a rialzarsi”, che “non sono più le stesse” o che “dovrebbero farsi forza”. Qualsiasi esperienza non è mai compresa fino in fondo quando a viverla sono altre persone.
Quello che possiamo fare, fin da subito, è provare Empatia, sincera compassione per ciò che la persona che abbiamo di fronte sta vivendo. Provare ad incoraggiare la persona sulla forza interiore che il dolore offre, o cercando di minimizzare la percezione dell’esperienza dolorosa che sta vivendo, è tutto tranne che autentica empatia.
Tutto il resto deve arrivare dopo. Se questa esperienza sarà in grado di accendere una luce nel cuore della persona colpita, offrendole la possibilità di rivedere il suo rapporto con la vita stessa, sarà solamente il frutto di una scelta personale. Se invece (almeno temporaneamente) il dolore sembrerà annientarne completamente lo spirito, invece di impartire insegnamenti dovremmo semplicemente limitarci a chiedere a noi stessi come ci sentiremmo in una condizione simile; come reagiremmo se venissimo colpiti allo stesso modo.
Ma soprattutto dovremmo interrogarci profondamente su quali sarebbero le parole che vorremmo sentirci dire dalle persone con cui condividiamo anche solo brevi momenti di vita. Perchè è solo di una parola che dimostra sincera compassione e una comprensione amorevole ed intelligente che le persone sembrano aver bisogno in quei momenti.
Quando una persona sente che il dolore ha toccato la propria anima in profondità e che probabilmente c’è un fine o un senso in tutto questo, allora sarà lei stessa a chiedere. E lo farà solamente se sentirà che nel cuore di chi la ascolta vi è sincerità e almeno un barlume di quella consapevolezza nelle cui braccia l’esperienza dolorosa la sta collocando.
La necessità del dolore come mezzo di consapevolezza
Ho riflettuto spesso sul senso del dolore, dato che nella mia vita non è mai mancato…
mi chiedo però se davvero esso debba proprio essere indispensabile.
La poesia di K.Gibran che lei ha riportato sembra affermare proprio questo:
“Come il nocciolo del frutto deve spezzarsi affinché il suo cuore possa esporsi al sole, così voi dovete conoscere il dolore”.
Non esiste davvero altro modo per “spezzare il guscio che racchiude la nostra conoscenza”?
Premesso che, almeno per me, un costante confronto con la mia interiorità e il bisogno di crescita della consapevolezza sono elementi ormai irrinunciabili, non posso fare a meno di pormi domande di tipo esistenziale come queste…
Perché una vita di gioia e serenità non possono garantire il medesimo risultato?
Come è possibile “vegliare sereni durante gli inverni del nostro dolore” ben sapendo quanto diversa e più serena sarebbe potuta essere la nostra vita, o quella delle altre persone?
Questa è senza dubbio una questione di così ampia portata, che offrire una risposta esaustiva e sufficientemente profonda è estremamente difficile. Possiamo solamente limitarci ad osservare ciò che accade nella nostra vita e in quella delle altre persone.
Direi innanzitutto che, per quella che è la mia visione della vita e la mia esperienza fino a questo momento, non possiamo assolutamente affermare che solamente il dolore offre l’opportunità di intraprendere un cammino di ricerca interiore. Possiamo solamente osservare che una parte, nemmeno maggioritaria, delle persone colpite dal dolore rivolge interiormente le proprie energie alla ricerca di un senso, di un fine e di un segnale che offra un significato all’esperienza drammatica che sta vivendo.
Se il medesimo desiderio di crescita o di espansione di coscienza sarebbe potute essere innescato anche da un vissuto diverso, magari addirittura da situazioni gioiose, questo non lo possiamo sapere. Certamente il dolore ci scuote in profondità molto più efficacemente. Senza dubbio, fino a quando le cose nella nostra vita sembrano andare bene e non viviamo esperienze che ci costringono a riorientare altrove il nostro sguardo, tendiamo semplicemente a basare la nostra felicità sulle favorevoli circostanze ambientali.
Sono più propenso a credere che nemmeno l’esperienza del dolore possa avere una sua utilità se non è in grado di aiutarci a desiderare la gioia. Deve, in altri termini, metterci nella condizione di aspirare ad uno stato di consapevolezza che includa i più nobili ed elevati sentimenti umani. Il dolore fine a sé stesso si riduce ad un mero esercizio di espiazione, che può bloccare la persona in una pericolosa spirale pessimistica e autocommiserativa.
Il dolore deve essere accettato, compreso ma soprattutto rielaborato e, al più presto, lasciato alle spalle, invitando il nostro cuore a fare posto ad un atteggiamento di consapevole serenità e pace interiore.