Se un intervento psicologico è “ben riuscito”, alla fine la persona richiedente aiuto deve avere la consapevolezza di aver raggiunto un nuovo e più elevato livello di coscienza. Dovrebbe, in altri termini, saper “guardare” al suo problema da un punto di vista più ampio e più elevato. Se rimane al medesimo livello di coscienza, molto difficilmente potrà avere una serena comprensione della situazione e la sua conseguente accettazione.
La “soluzione” raggiunta rischierà in questo caso essere solamente temporanea e di cedere di fronte a qualche successivo imprevisto. E’ comunque fuori discussione che ciò potrà verificarsi anche se l’espansione di coscienza ha avuto effettivamente luogo, dal momento che la vita, per sua natura, ci spinge a spostare costantemente in avanti e verso l’alto l’asticella che separa l’inconscio dalla consapevolezza cosciente.
La nostra vita sembra organizzata in maniera tale da sollecitare in noi la necessità di divenire sempre più coscienti e autocoscienti. La Coscienza, nel suo emergere, chiede di sottrarre terreno a quell’ambito della psiche che Jung definisce Inconscio Collettivo, a volte ingaggiando con esso una lotta, ma facendo estrema attenzione a non provocare pericolosi squilibri tra i due ambiti.
Possiamo aggiungere che sottrarre terreno all’Inconscio Collettivo a favore della coscienza individuale fa parte del cosiddetto Processo di Individuazione, che costituisce una prima e preziosissima tappa nel corso della vita così come nel corso dell’intervento psicologico. Il Processo di Individuazione non è di norma libero da sofferenza, dal momento che scoprire e affermare se stessi nella propria unicità comporta la perdita dei riferimenti al rassicurante substrato psichico collettivo da cui progressivamente emergiamo.
La “Ricompensa” è però l’avvio di un nuovo viaggio che secondo Carl G.Jung termina con la presa di coscienza dell’esistenza di elementi superiori e luminosi nell’Inconscio Collettivo. Secondo Roberto Assagioli, che si spinge ancora oltre, la premessa di una almeno iniziale individuazione schiude la coscienza all’anelito al contatto con il Sé transpersonale e con gli Archetipi dell’Inconscio Superiore. Quest’ultima possibilità, nei termini descritti da entrambi gli autori, è quanto di più prezioso la vita possa donare ad un individuo, per quanto faticoso possa essere questo processo.
I problemi della vita, quindi, non si possono risolvere. Per uscire dallo stato di sofferenza che ne deriva sembra quindi indispensabile elevare la propria coscienza ad un livello superiore, dal quale ogni pena si annulla o almeno ridimensiona.
Data la preziosità di questo insegnamento, e la sua utilità per l’individuo che soffre, riportiamo integralmente le parole di Carl G.Jung tratte dal testo “Il segreto del Fiore d’Oro”.
“Il Segreto del Fiore d’Oro”
Ho sempre lavorato con la convinzione, dettata dal mio temperamento, che in fondo non ci sono problemi insolubili. E l’esperienza mi ha dato ragione, perché molto spesso ho visto quanto facilmente alcuni individui superavano un problema nel quale altri fallivano completamente.Questo “superamento”, come lo chiamai in passato, risultava – come mi rivelò la mia esperienza successiva – da un innalzamento del livello della coscienza. Quando cioè nell’orizzonte del paziente compariva un qualsiasi interesse più elevato e più ampio, il problema insolubile perdeva tutta la sua urgenza grazie a questo ampliamento delle sue vedute. Non veniva dunque risolto in modo logico, per sé stesso, ma sbiadiva difronte a un nuovo e più forte orientamento dell’esistenza. Non veniva rimosso e reso inconscio, ma appariva semplicemente sotto un’altra luce, e diventava così realmente diverso. Ciò che a un livello inferiore avrebbe dato adito ai conflitti più selvaggi e a paurose tempeste affettive, appariva ora, considerato dal livello più elevato della personalità, come un temporale nella valle visto dall’alto della cima di un monte. Con ciò non si toglie alla bufera nulla della sua realtà, ma non le si sta più dentro, bensì al di sopra. Dato però che noi siamo, in senso psichico, nello stesso tempo valle e monte, sembra inverosimile che ci si possa proiettare oltre l’umano. È vero che, quando proviamo un affetto, ne siamo sconvolti e tormentati, ma nello stesso tempo è anche presente, in modo percettibile, una più alta consapevolezza, che ci impedisce di identificarci con quello stato affettivo, una consapevolezza che considera quell’affetto come oggetto, e che può dire: ‘Io so di soffrire’. […] Di tanto in tanto capitavano, nella mia pratica terapeutica, eventi di questo tipo, e cioè che un paziente riuscisse a superare sé stesso grazie a potenzialità a lui sconosciute; ciò costituì per me l’esperienza più preziosa. Essi dunque non potranno mai essere risolti, ma soltanto superati. Perciò mi chiesi se questa possibilità del superamento, e cioè di un ulteriore sviluppo psichico, non costituisse in genere il fatto normale, e se quindi il fatto patologico non consistesse proprio nel rimanere bloccati dentro o davanti a un conflitto. Ogni individuo dovrebbe possedere, perlomeno potenzialmente, questo livello più alto, e poter dunque, in condizioni favorevoli, sviluppare tale possibilità. Nell’osservare il processo di sviluppo dei pazienti che tacitamente, quasi senza rendersene conto, erano riusciti a superare sé stessi, vedevo che i loro destini avevano tutti un elemento comune, in quanto il nuovo giungeva loro dalla sfera delle potenzialità nascoste, o dall’esterno o dall’interno. Essi lo accettavano e crescevano con il suo aiuto. Mi parve tipico che gli uni lo ricevessero dall’esterno, e gli altri dall’interno, o meglio che negli uni esso si sviluppasse dall’esterno e negli altri dall’interno, pur non essendo mai il nuovo cosa soltanto esterna o soltanto interna. Se proveniva da fuori, diventava una profonda esperienza interiore; se invece proveniva dall’interno si trasformava in evento esterno. In nessun caso però era stato procurato intenzionalmente e consciamente, ma sembrava piuttosto essere generato dal fluire del tempo. […] Che cosa hanno fatto dunque questi individui per provocare questo processo risolutivo? Per quanto ho potuto vedere io, non hanno fatto proprio nulla (wu-wei = agire senza agire), ma hanno lasciato accadere, come insegna il maestro Lu-Tzu, poiché la luce circola secondo le sue leggi, se non si abbandonano le proprie abituali occupazioni. Il lasciar agire, il fare nel non fare, l’abbandonarsi del Maestro Eckhart è diventato per me la chiave che dischiude la porta verso la via: bisogna essere psichicamente in grado di lasciar accadere. Questa è per noi una vera arte, che quasi nessuno conosce. La coscienza interviene continuamente ad aiutare, correggere e negare, e in ogni caso non è capace di lasciare che il processo psichico si svolga indisturbato. Il compito sarebbe di per sé abbastanza semplice (se la semplicità non fosse la cosa più difficile!). |
Aforismi sulla Psicologia dell’animadi Carl Gustav Jung “La nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell’universo, e ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell’anima”. “Non c’è presa di coscienza senza sofferenza. La gente farà qualsiasi cosa, non importa quanto assurda, per evitare di incontrare la propria anima”. “Una psicologia capace di soddisfare soltanto l’intelletto non è mai una psicologia pratica; l’anima nella sua totalità non può mai essere intesa soltanto con l’intelletto”. “A quanto possiamo discernere, l’unico scopo dell’esistenza umana è di accendere una luce nell’oscurità del mero essere”. “L’anima contiene non meno enigmi di quanti ne abbia l’universo con le sue galassie, di fronte al cui sublime aspetto soltanto uno spirito privo di fantasia può non riconoscere la propria insufficienza”.
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