“Ho sviluppato una forza interiore che mi ha fatto dimenticare la povertà in cui versavo, la sofferenza, la solitudine e la frustrazione”.
Nelson Mandela
Un argomento di cui si tende a parlare molto oggi in Psicologia è quello della Resilienza. In ingegneria il termine indica la capacità di un materiale di riacquistare la sua forma originaria dopo aver subito un urto. In ecologia e biologia indica la capacità di un sistema di ritornare al suo stato iniziale dopo che quest’ultimo è stato sottoposto ad una perturbazione. E’ quindi facilmente intuibile come in psicologia indichi la capacità di un individuo di far fronte ad eventi di tipo traumatico, sapendo trarre da se stesso le opportune risorse per affrontare la situazione, adottando strategie e soluzioni concretamente applicabili ed efficaci.
La definizione riportata da Wikipedia appare abbastanza esaustiva: ”la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità. Sono persone resilienti quelle che, immerse in circostanze avverse, riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti”.
Come si può notare, si tratta dunque di un ambito della psicologia estremamente importante e che può offrire preziosi strumenti sia per riuscire a resistere durante i momenti di difficoltà, sia per reinterpretare a posteriori il proprio vissuto soggettivo, attribuendo ad esso una valenza nuova e maggiormente evolutiva. L’esperienza, così rivisitata, diviene quindi il mezzo per dimostrare a se stessi il possesso di insperate qualità e di strumenti per affrontare anche le situazioni più difficili con la giusta lucidità, consapevolezza, resistenza e grande coraggio.
Forse però ciò che oggi viene indicato come “resilienza”, per l’individuo dotato di adeguate capacità di insight, può avere un valore molto più prezioso. Forse ridurre la resilienza ad un semplice “ritorno allo stato iniziale” pre-crisi può essere limitante per chi, dopo aver attraversato la difficoltà, vede scenari nuovi apparire all’orizzonte della propria vita.
Ci sono infatti momenti difficili e dolorosi nella nostra vita che, una volta appreso ad affrontarli, superarli e trascenderli, non ci sentiamo più le stesse persone di prima. La nostra consapevolezza è cambiata. Sentiamo qualcosa di nuovo all’interno della nostra coscienza, vediamo possibilità inconcepibili fino a poco tempo prima, e gli eventi acquisiscono un significato più profondo ed elevato.
In altre parole, se la crisi non ha lasciato in noi ferite così profonde da costringerci a rinchiuderci in uno stato di sofferenza, se abbiamo compreso che diventare adulti significa perdere il privilegio di poter incolpare gli altri se le cose nella vita non vanno come vorremmo, e se alla fine il buio dell’esperienza dolorosa sta cedendo il posto a quel meraviglioso raggio di luce che porta un assaggio di primavera nella nostra anima, allora niente in noi desidererà semplicemente ripristinare lo stato psicologico antecedente alla crisi. Chi ha davvero attraversato esperienze di questo tipo sa con certezza che l’espansione di coscienza che ne consegue non consente più di ricondurre la nuova visione della vita alla ristrettezza dei precedenti schemi psicologici.
La resilienza dunque non deve essere un mero atteggiamento caparbio o ostinato nel volersi mostrare “superiori” al problema, come per tentare di volerlo banalmente esorcizzare. Non deve nemmeno essere l’assunzione di un atteggiamento mirante alla scotomizzazione dell’esperienza stessa. E non è nemmeno una via per evitare la sofferenza, dal momento che essa stessa non può non far parte della nostra evoluzione in quanto esseri umani. Il vissuto interiore definibile come resilienza avrebbe dunque tanto più valore quanto più l’esperienza consente l’espressione di quel potenziale creativo, evolutivo e spirituale della nostra componenti psicologica più elevata e “spirituale”.
Come spesso vale in molti ambiti psicologici, anche la resilienza è dunque un concetto la cui espressione può collocarsi a vari livelli. In ultima analisi, essa può essere considerata come una delle nostre più nobili qualità. Questo tipo di esperienza ci ricorda che a volte non ci è concesso di crescere grazie a condizioni ambientali favorevoli, ma dobbiamo invece farlo nonostante queste possano essere avverse. Spesso diamo per scontato che qualcosa nel nostro ambiente circostante non è conforme alle nostre aspettative, consentendo alla frustrazione di insinuarsi tra le pieghe del nostro umore. Tutto questo può essere semplicemente la conseguenza del fatto che non siamo in grado di riconoscere che l’ambiente in cui viviamo e ci esprimiamo contiene tutte le potenziali opportunità per estrarre il meglio da noi stessi, anche quando questo processo ci appare doloroso.
Se intendiamo quindi la Resilienza come qualcosa di ancora superiore alla già di per se difficile capacità di resistere agli urti della vita senza farsene travolgere, possiamo riconoscere in essa qualcosa dal sapore finemente spirituale, qualcosa che potrebbe essere definito come la la capacità dell’anima (da intendersi qui come ciò che di più nobile ed elevato vi è in noi) di governare la nostra vita. Essa ci condurrebbe quindi pazientemente lungo tutte le strade che inevitabilmente è opportuno percorrere, in vista di un obiettivo di “crescita interiore” che pur non essendo quasi mai del tutto chiaro alla nostra consapevolezza cosciente, orienta interiormente la nostra vita allo stesso modo in cui la luce è in grado di orientare la crescita delle piante.
Chiunque abbia saputo resistere a momenti sofferti o impegnativi e ne sia uscito completamente trasformato e nobilitato nel suo animo, generalmente non fatica ad accettare il fatto che momenti come questi, alla fine, non possono che arricchire la vita. Il “destino” può sembrare a volte spietato con noi, ma le responsabilità di scegliere come reagire ad esso (intesa come “libero arbitrio”) può essere solo nostra. Nessuna crisi precipita nella nostra vita con il mero obiettivo di annientarci. Tutte, anche quelle più apparentemente incomprensibili, ci invitano invece a resistere e (soprattutto) a spingerci a quella eterna “Ricerca di Senso” che rende la nostra vita così ricca e luminosa. Perchè l’esperienza della crisi, alle fine, è qualcosa che l’uomo saggio non esiterebbe a definirebbe come “sacro”.
Anche alla luce della Psicologia Sistemica, l’esperienza della crisi si configura come quell’elemento nuovo in grado di ristrutturare l’intero “sistema” e per questo motivo, il ripristino dello stato precedente del sistema appare del tutto improbabile, una volta che l’elemento nuovo entra a farne parte. Sembra quindi piuttosto verosimile che l’unica via possibile, nelle sfide psicologicamente ed emozionalmente più difficili, sia quella di procedere fino alla vetta, come sono costretti a fare gli alpinisti impegnati su quelle pareti così difficili che rendono impossibile la discesa. E la vetta, in questo caso, non può che essere una trasformazione in chiave spirituale dell’intera personalità, o quantomeno in termini di individuazione nel senso Junghiano del termine.
Le persone che hanno attraversato l’oscurità dell’anima o la valle buia del dolore uscendone vittoriosamente, possiedono una luce interiore diversa, hanno sviluppato potenzialità (nella mente e nel cuore) che le rendono persone con un grado di consapevolezza e di individuazione non comune.
In conclusione, ciò che può davvero elevare il significato del concetto di resilienza in un ambito che potremmo definire Psicologia Spirituale, è forse racchiuso nel senso più profondo delle parole di Nietzsche citate all’inizio. Ciò che davvero conta è avere uno scopo nell’affrontare la vita, uno scopo che sia il più possibile mirante al pieno sviluppo di noi stessi quali esseri spirituali, esseri dotati di intelligenza, amore e volontà. Forse non riusciremo mai a comprendere fino in fondo le misteriose ragioni della nostra presenza nel mondo. Forse non potremo mai avere molto più di un semplice barlume di consapevolezza relativamente a chi siamo davvero, ma non dovremmo mai smettere di chiedercelo. Perchè è proprio dietro questi grandi interrogativi più generali che si nasconde la più accessibile consapevolezza a quei piccoli “perchè” che ci aiutano a sopportare anche i “come”più dolorosi.