Ricerca di Identità e ricerca di Senso

L'importanza delle domande esistenziali nella valorizzazione del proprio percorso di realizzazione interiore
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Come credo traspaia con una certa chiarezza dai contenuti di questo sito, ho sempre manifestato un profondo interesse verso determinate tematiche filosofiche e spirituali quale fonte di ispirazione nel mio lavoro di psicologo. Lo spazio di sovrapposizione tra aspetti psicologici e elementi di natura filosofico-spirituale è infatti senza dubbio ampio nella mia concezione del benessere psicologico.

Buon senso, esperienza, conoscenza e prudenza sono importanti elementi guida in un ambito di tale complessità. L’associazione tra malessere psicologico (o vera e propria patologia psichica) e l’emergere di un bisogno spirituale nell’essere umano non è ovviamente la norma. Personalmente, credo anzi che rimanga un connubio di difficile dimostrabilità.

Vi è grande abbondanza di situazioni personali e casi individuali di problematiche psichiche che non hanno nulla a che vedere con il bisogno, mostrato invece da alcuni individui, di porsi a confronto con l’immensità dello spazio psichico interiore, per esplorarne la bellezza.

Sono invece tutto sommato poche le situazioni in cui ciò è autenticamente alla base di una sofferenza interiore in grado di scatenare una problematica psichica rilevabile. E questo naturalmente pone lo psicologo nella necessità di valutarle attentamente, per non sottovalutare quelle condizioni cliniche psicopatologiche che vanno affrontato semplicemente come tali.

Domande sul valore personale

Mi sono spesso chiesto se, in un percorso psicologico, siano più importanti le risposte che riusciamo ad ottenere, o le domane, sempre nuove e sempre più profonde, che siamo in grado di formulare. Vito Mancuso, in un suo recentissimo testo dal titolo “La Mente Innamorata”, propone un’interessante analisi sul tipo di domande e risposte che l’essere umano è incline ad elaborare.

L’autore definisce “domande di sussistenza” quelle che hanno a che fare con “le basi stesse del vivere”. Esse sostanzialmente coprono tre importanti aree esistenziali:

  1. La dimensione dell’avere: “come faccio ad avere ciò di cui ho bisogno per vivere?”. Si tratta della soddisfazione del bisogno di beni, di sicurezza, di libertà, ecc.
  2. La dimensione del potere: “che cosa posso fare?”. Riguarda sostanzialmente la propria indipendenza e la propria capacità di esercitare autorità.
  3. La dimensione del piacere: “come soddisfo il bisogno di ciò che desidero?”

Le tre domande della sussistenza secondo Vito Mancuso si pongono al di sopra di una domanda ancora più fondamentale: “io chi sono?”, intesa però non tanto in una dimensione ontologica, quanto piuttosto nell’ottica di come sono considerato dagli altri, dall’importanza e dal valore che ho per loro.

Si tratta dunque di una domanda di tipo più che altro relazionale, perchè il quesito “io chi sono”, a questo livello, declina il significato del concetto di identità in termini di riconoscimento sociale. La minaccia percepita è infatti quella del mancato riconoscimento e dell’isolamento relazionale e sociale.

La sussistenza, in estrema sintesi, riguarda dunque il proprio valore personale riconosciuto dalle altre persone. Per questo motivo, domande di questo tipo non ci consentono di approfondire la conoscenza di noi stessi. In quest’ottica, possiamo conoscere noi stessi solamente in quanto membri dei nostri sistemi di appartenenza.

Domande sulla ricerca dell’identità personale

Vi è però, secondo Vito Mancuso, un secondo macro gruppo di domande che riguardano più autenticamente sé stessi, dove il termine “autentico” significa fedele alla propria interiorità. Ed è da questa dimensione di autenticità, da questo bisogno di verità su sé stessi e sulla propria natura, che scaturiscono le domande sull’esistenza.

“La specificità delle domande dell’esistenza”, afferma l’autore, “è che il punto di riferimento diventa l’Io in quanto coscienza epistemica e morale, e non più gli altri e la loro approvazione sociale. Si passa dal tribunale esteriore al tribunale interiore”.

A questo livello, l’identificazione naturale della coscienza con sé stessa non è garantito. Spesso è, anzi, fonte di qualche forma di sofferenza. Le domande dell’esistenza nascerebbero dallo “spazio vuoto venutosi a creare tra l’io fenomenico e l’io riflessivo”.

Chi sono io, al di là della mia identificazione con i ruoli che ricopro nella mia vita? Esiste un obiettivo autentico, una qualche forma di vocazione o qualche elemento profondo che guida la mia vita? Oppure l’esistenza è semplicemente il frutto di puri meccanismi di causalità e casualità?

Domande come queste sorgono in noi unicamente quando il contenuto della riflessione su noi stessi sale ad un altro livello. Non di rado, in momenti come questi può emergere in noi anche qualche forma di disagio psichico, che si può manifestare sotto forma di ansietà, inquietudine o di un generico disagio esistenziale.

Le domande sulla sussistenza, afferma ancora Vito Mancuso, possono trovare una risposta certa. Quelle sull’esistenza, no. Nella mente di chi le formula, queste ultime sono spesso destinate a crescere in forza e magnitudine. Ma sarebbe proprio l’accettazione dell’inquietudine generata in noi da domande come questa a permettere l’emergere di preziosi elementi di consapevolezza.

Le domande “fondate ma senza risposta definitiva” sarebbero le poche, forse le sole, a poter conferire “pulizia alla coscienza”. Ed è proprio in aspetti come questi che si rende più evidente il grande paradosso nello sviluppo della coscienza umana. Se da un lato queste domande inquietano, il continuo lavoro su di esse è però l’elemento da cui può scaturire la pace interiore. L’onesta ricerca della verità guida l’essere umano alla profonda quiete.

Domande esistenziali e disagio psichico

Quanto appena espresso può apparire frutto di una speculazione meramente filosofica, ma ha in realtà molto a che fare anche con la realtà quotidiana di molti vissuti psicologici. Come già accennato, non sono pochi, oggi come ieri, i casi in cui l’assenza di risposte alle più importanti e complesse domande esistenziali può determinare un disagio psichico.

Il lavoro psicologico con le persone impegnate nella risposta a domande sulla sussistenza è inevitabilmente e profondamente diverso da quello che è opportuno realizzare con chi si trova invece di fronte alle grandi domande sull’esistenza.

Nel primo caso l’individuo è alla ricerca di conferme sul proprio valore, sul proprio ruolo e sulla sua capacità di relazionarsi efficacemente e proficuamente. Il lavoro con lo psicologo, quando si manifesta un certo grado di frustrazione in ambiti come questi, consiste sostanzialmente nell’aiutare la persona a guardarsi con occhi nuovi, ad essere più assertiva nell’affermare i suoi bisogni e i suoi diritti/doveri, nell’essere più efficace nel trovare strategie più adeguate e creative nell’espressione di sé, ecc.

Il successo nel lavoro terapeutico si realizza dunque quando la persona raggiunge un livello pienamente soddisfacente di integrazione sociale e di soddisfazione relativamente alla professione, alle relazioni e alla gratificazione dei desideri personali.

Ma come sempre, la semplicità nelle situazioni non è quasi mai una regola. Come apparirà senz’altro evidente, le eccezioni possono essere varie e numerose. E’ talvolta davvero interessante notare come in alcuni casi è proprio l’incapacità nel trovare la risposta che ci si aspetterebbe dalle domande di sussistenza ad innescare la comparsa, nella propria coscienza, delle domande sull’esistenza.

Non è raro che quando la vita non è in grado di offrirci una piena soddisfazione dei più comuni obiettivi relazionali, sociali o professionali sentiamo il bisogno di porre a noi stessi domande esistenziali più complesse ed impegnative.

E quando il disagio psicologico ha a che fare con domande sul versante dell’esistenza, il lavoro effettuato presso lo studio dello psicologo muta non di poco in termini di obiettivi, aspettative e contenuti delle riflessioni.

La bellezza del lavoro psicologico effettuato assieme nel tentativo di dare un senso autentico alle proprie inquietudini interiori sta proprio nel rendersi conto che non sono le risposte in sé a generare la pace interiore. Essa è piuttosto, come meravigliosamente afferma Vito Mancuso, il risultato stesso del processo di ricerca.

Mi sono reso conto, grazie al privilegio che la vita mi ha offerto di poter condividere con le persone i loro percorsi di crescita in consapevolezza, che a questi livelli è molto più importante riuscire a formulare giuste domande che saper trovare rassicuranti risposte.

Le domande ci spingono verso spazi sempre più sottili del Sé, fino alle sfere della trascendenza, per le persone desiderose di integrare questa dimensione dell’essere. La risoluzione del disagio psichico e dell’inevitabile conflitto interiore derivante dall’emergere delle domande sull’essere si manifesta su due distinti versanti.

Il primo aspetto riguarda una serena accettazione del proprio ruolo nella vita, delle proprie responsabilità e dei limiti che la realtà impone. Il secondo aspetto riguarda invece l’intimo rapporto con la proprio dimensione “spirituale”, che procede parallelamente verso l’acquisizione di sempre maggiori spazi di consapevolezza.

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