Nel testo “Re-visione della Psicologia” (1), il filosofo ed analista americano James Hillman, scomparso qualche anno fa, ha proposto un’importante riflessione sul ruolo della trascendenza nell’ambito della psicopatologia e della cura dei disturbi mentali.
La “negazione trascendentale”, così egli la definisce, costituirebbe un modo per rifiutare la psicopatologia, mettendosi al di sopra di essa. In particolare, il problema sarebbe a suo avviso particolarmente evidente nell’ambito della psicologia umanistica. “Nel tentativo di restituire all’uomo la sua dignità, essa lo idealizza, spazzando sotto il tappeto, per così dire, le sue patologie”, afferma senza mezzi termini.
Gli scopi a cui la psicologia umanistica aspirerebbe, sono caratterizzati da un’aura rassicurante di ottimismo. Essi prenderebbero in considerazione, a suo modo di vedere, solamente concetti quali libertà, fede, equanimità, responsabilità, impegno.
Ma quale spazio, si chiede Hillman, possono trovare altri fondamentali aspetti dell’umana esperienza quali il peccato, la crudeltà, il fallimento, e “le vicissitudini distruttrici che il destino ci porta con la patoligizzazione” ? Della visione stoica e tragica dell’uomo sembra non esservi alcuna traccia, così come della sua natura esistenziale, irrazionale e patologica.
Diversamente dalla psicologia del profondo, costruita sulle “percezioni più fosche di Freud e Jung”, e dal loro “ben temperato pessimismo”, la psicologia umanistica mancherebbe di spessore. Avendo come fine quello della trascendenza, si lascerebbe alle spalle tutto ciò che è più basso, vile e oscuro, giudicandolo “valore regressivo”.
In sostanza, il nocciolo della questione secondo Hillman è il fatto che il “movimento ascendente“, sia dal punto di vista della psicologia umanistica che dall’interpretazione occidentale della visione orientale, semplicemente assomiglierebbe al meccanismo psicologico della “Rimozione“.
Nutrite l’anima perché la fame la trasforma in una belva che divora cose che non tollera e da cui resta avvelenata. Amici miei, saggio è nutrire l’anima, per non allevarvi draghi e diavoli in seno.
Carl Gustav Jung
Ma la trascendenza è davvero solo questo?
Personalmente credo che Hillman, con queste sue parole senza dubbio in buona parte condivisibili, abbia comunque colto solamente uno degli aspetti del variegato e complesso mondo del trascendente. L’anelito alla trascendenza in assenza di una solida risoluzione dei conflitti personali e del coraggio di affrontare i propri aspetti psicopatologici non può che evolvere verso una pericolosa forma di autoillusione o di bypass spirituale. Ma questa eventualità si colloca in una posizione necessariamente lontana rispetto all’autenticità dell’esperienza trascendente.
Non è raro, inevitabilmente anche all’interno dell’ambito della psicologia umanistica, riscontrare la presenza di orientamenti poco realistici o addirittura illusori, che possono produrre una sottovalutazione delle problematiche psicopatologiche. Ma non per questo si deve fare di tutta l’erba un fascio e sbarazzarsi riduttivamente della preziosità della trascendenza autentica.
E’ verosimile che il malinteso possa avere origini in un fondamentale assunto errato. Non poche persone, soprattutto all’esterno dell’ambito psicologico, sono convinte che quel complesso ambito della psiche definibile come trascendenza possa essere considerato come il mezzo per la risoluzione dei propri conflitti, tormenti e dolori.
La trascendenza non può in alcun modo essere considerata come un “mezzo“. Può eventualmente essere un “risultato“, l’esito di un serio lavoro di presa di coscienza individuale, che si manifesta come attribuzione di senso e profonda rielaborazione e ristrutturazione delle principali conflittualità psichiche. Detto in termini più semplici, la trascendenza non è ciò che determina uno stato di benessere, ma ciò che dimostra che questo livello è stato raggiunto.
Che cosa dovremmo trascendere?
Come riporta il Vocabolario Treccani, nel linguaggio corrente trascendere significa semplicemente andare oltre determinati limiti definiti dalla convenienza, da un giusto equilibrio o dalla buona educazione. Ma è nel suo aspetto filosofico che tale concetto risulta più utile ai fini della presente analisi: “esistere al di fuori o al di sopra di un’altra realtà; andare al di là, superare, sorpassare un certo ambito o limite della conoscenza o della realtà”.
Oltre all’ambito filosofico e religioso, anche nel contesto psicologico possiamo riconoscere determinati aspetti che hanno una natura riconducibile alla trascendenza. A volte ci sembra di comprendere che un significativo cambiamento psicologico possa essere realizzabile solamente quando ci rendiamo conto che esso dipende esclusivamente dalla nostra capacità di andare oltre (trascendere) ciò che ci vincola a credere che i nostri problemi dipendano esclusivamente dalle circostanze ambientali.
La risoluzione di una crisi psicologica, almeno in alcuni casi, può apparire possibile solo quando si sviluppa la capacità di andare oltre i limiti attuali della propria coscienza. L’Io deve realizzare di poter trovare nuovi spazi di consapevolezza, più ampi ed elevati rispetto al comune punto di vista meccanisistico con cui si era sempre identificato fino a quel momento.
Da quel punto di vista più ampio ed elevato possiamo trascendere i nostri tormenti, le nostre inquietudini. Siamo generalmente portati a pensare che solo una modifica delle circostanze ambientali in un modo a noi favorevole potrebbe restituirci momenti di felicità o di serenità.
Carl G. Jung affermava però acutamente che i grandi problemi della vita sono di fatto irrisolvibili. Ciò che possiamo fare di fronte ad essi è dunque solamente impegnarci a superarli. Superare un problema significa sostanzialmente trovare le risorse interiori per dare piena espressione alla nostra vita nonostante la presenza di un importante problema o difficoltà esistenziale.
Detto in altri termini, la nostra vita può assumere un significato più profondo e autentico quando scopriamo in noi stessi un nuovo potere creativo. L’immutabilità delle circostanze, e il dolore che questa esperienza non di rado porta con sé, non appaiono più come un limite alla possibilità di vedere la realtà con nuovi occhi e con una rinnovata capacità autopoietica.
La mente che trascende i problemi è una mente paradossalmente ancora più consapevole. Non è una mente che “rimuove” o ignora i problemi. Essa è semplicemente orientata verso la comprensione delle difficoltà da un punto di vista più elevato e profondo, e ispirata da una dimensione di maggiore luminosità e pienezza.
Trascendenza, Psicopatologia ed Esperienza Immaginativa
Il modo in cui il metodo dell’Esperienza Immaginativa può rivelarsi prezioso in un lavoro che contempli aspetti di trascendenza è già stato descritto in un apposito articolo. A conferma del fatto che la manifestazione di elementi di trascendenza può avvenire solo successivamente alla risoluzione dei principali conflitti, le fasi di un percorso psicologico sufficientemente articolato e complesso sono almeno cinque (2).
Attraverso gli scenari immaginativi prodotti dal paziente lungo le varie fasi, è possibile comprendere quali movimenti si stiano manifestando nella sua psiche.
Quando una persona inizia un percorso psicologico, non è certamente insolito individuare innanzitutto una fase di disorientamento. Viene semplicemente avvertita la perdita dello stato di benessere precedente. C’è un malessere ma non si comprende il perchè, né il modo per poterlo risolvere.
Il procedere del lavoro psicologico conduce poi, generalmente, ad una fase di manifestazione, in cui i conflitti affiorano con più chiarezza e divengono osservabili con maggiore consapevolezza. Non è raro che in questa fase il vissuto interiore di sofferenza possa accentuarsi.
Si apre poi una fase di metamorfosi, in cui si iniziano ad intravedere i primi impatti sulla vita quotidiana dello sforzo trasformativo compiuto. Ad essa segue la fase di rigenerazione, in cui nella persona iniziano a comparire immagini di rinnovamento. Si rafforza il desiderio di affrontare nuovamente (o per la prima volta) la propria vita spinti dalla creatività e dall’entusiasmo.
E solo dopo aver attraversato tutte queste fasi del percorso può proficuamente esserci uno spazio autentico per elementi di trascendenza. Questa fase, detta di lucidità creativa, pone la persona a contatto con le proprie interiorità più elevate in maniera autentica e sincera.
Il lungo percorso attraversato consente un contatto con il proprio Sé superiore dopo aver affrontato e superato almeno le conflittualità più evidenti. Un ottimale livello di pace e di serenità è stato raggiunto, e la fiducia nella propria capacità di esprimersi liberamente, sia nelle necessità quotidiane che nella propria crescita spirituale, può ora trovare uno spazio adatto e sicuro.
L’immaginario che emerge nelle persone disposte a condurre il loro percorso psicologico fino a questa fase è estremamente affascinante e ricco di bellezza. L’apertura alla trascendenza è autentica e consapevole, e si manifesta in scenari meravigliosi.
Riporto di seguito un breve frammento di uno scenario immaginativo, prodotto durante una seduta con il metodo dell’Esperienza Immaginativa da un paziente ormai giunto alle fasi conclusive del percorso. L’immaginario è caratterizzato da particolare bellezza e creatività, e dimostra l’apertura a proseguire il proprio viaggio nella vita verso nuovi orizzonti.
“[…] mi siedo a fianco del fuoco … la notte è ormai vicina … guardo il cielo, è stellatissimo … riesco a vedere da dove arrivava la luce che c’era nella stanza … direttamente dal cielo, come se una stella mandasse un fascio di luce in quella fessura … è incredibile … passerò la notte lì … accanto al fuoco … nel silenzio assoluto, dove anche la fiamma non fa rumore […] quando il sole comincia a sorgere […] sento un calore dentro di me … è ora che vada … prendo il sentiero … ho molta strada da fare …” (3)
In conclusione …
Dobbiamo certamente prestare particolare attenzione alle riflessioni di Hillman sul rapporto tra trascendenza e psicopatologia. Il pericolo di un prematuro incoraggiamento verso esperienze di tipo “spirituale” può effettivamente indurre nella persona l’errata convinzione di riuscire a “trascendere” con facilità le proprie problematiche psicopatologiche.
Esse necessitano invece di un attento lavoro di consapevolezza, che non può prevedere scorciatoie o facilitazioni, se non al prezzo di pericolose illusioni. Il cammino verso la trascendenza non è di per sé lo scopo del lavoro psicologico. Esso appartiene infatti alla sfera dell’esperienza spirituale personale, e deve rimanere circoscritto a tale ambito.
Quando però questi aspetti di trascendenza emergono spontaneamente al termine di un lavoro in cui siano stati affrontati e risolti almeno i principali elementi psicopatologici, è possibile essere ragionevolmente convinti che si possa trattare della dimostrazione di una trasformazione interiore, quale preludio ad una vita intenzionata ad esprimersi con sempre maggiore creatività, consapevolezza e con un tocco di illuminazione.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) – Hillman, J., (2019), Re-visione della psicologia, Gli Adelphi – p.133
(2) – Passerini, A. (a cura di), (2009), Immaginario: cura e creatività. L’esperienza immaginativa dal neurone alla psicoterapia, Alpes Italia
(3) – Valtorta, F., Passerini, A., (a cura di), (2015), Resilienza ed Esperienza Immaginativa, Alpes Italia