In un testo di recente pubblicazione intitolato “Contro il Sacrificio“, l’autorevole figura di Massimo Recalcati offre al lettore un’interpretazione del significato del sacrificio in chiave non solo psicoanalitica ma anche filosofica. L’autore ha sintetizzato le sue idee in alcuni interventi pubblici, fortunatamente videoregistrati e ancora oggi disponibili in rete. Da questo materiale sono state tratte alcune delle riflessioni proposte in questo articolo.
Abbiamo già parlato del Sacrificio in termini di scelta, di una opportunità di scelta consapevole e di valore. Contrariamente ad una più basilare considerazione del sacrificio in termini di frustrazione, questa scelta può garantire all’uomo la piena realizzazione della propria intimità ed interiorità esistenziale.
Prendiamo qui invece spunto dalle riflessioni di Recalcati per proporre una lettura più concreta del significato del sacrificio, che egli intende in senso sostanzialmente negativo e che giunge in seguito a distinguere dal concetto di donazione, come avremo modo di approfondire in seguito.
Significato del Sacrificio nella simbologia del cammello, del leone e del fanciullo
Recalcati espone questo suo pensiero attingendo alle tre metamorfosi riportate nell’apertura dell’opera “Così Parlò Zarathustra” di Nietzsche. Ciascuna di esse descrive l’interpretazione di un diverso rapporto tra il desiderio e la legge. Il cammello ne subisce semplicemente il peso. Il leone sembra volersi opporre ostinatamente, in virtù dell’affermazione della propria volontà. Ma è nel fanciullo che la legge e il desiderio vengono integrati armonicamente. Solo il fanciullo ha il dono di saper vivere senza angoscia il gioco dell’esistenza.
Ciascuno di noi, secondo l’autore, porterebbe con sé “un’anima-cammello”. Questo animale sarebbe il simbolo della rappresentazione moralistica della vita. Una vita schiacciata dal peso dei valori morali, dalla tradizione o dall’autorità. Il cammello è l’animale del dovere, l’espressione di una vita di sacrificio.
L’esperienza della libertà non sempre può essere intesa come oggetto di desiderio. L’uomo spesso non desidera essere libero. Interpretando il pensiero di Nietzsche, Recalcati afferma infatti che di fronte all’esperienza della libertà l’uomo tende ad avere nostalgia del confine, di ciò che limita, di ciò che offre rassicurazione.
Il cammello è dunque colui che sacrifica la libertà per una pulsione “securitaria” in grado di garantire la vita. Anche Spinoza si chiedeva perchè l’uomo preferisca le catene alla libertà. Sembra esistere una inclinazione umana a porsi in stato di limitatezza, e il sacrificio, quando è perverso, sembra proprio esprimere questa tendenza.
Il leone assume invece la forma della libertà. E’ l’espressione adolescenziale del rifiuto, della non sottomissione alla norma, al dovere, alla tradizione, alle imposizioni. Il leone, afferma Recalcati, è in un certo senso l’antitesi del cammello: il cammello si sottomette sempre al dovere, il leone rifiuta sempre di farlo.
La terza metamorfosi è però la più importante. Il fanciullo rappresenta infatti il “sacro dire di sì alla vita”. Egli rifiuta la sottomissione al dovere del cammello, ma anche la tenace opposizione del leone.
Il vantaggio della sottomissione al Sacrificio
Che cosa ci guadagna il cammello, si chiede Recalcati. Ed è forse questo il momento più interessante della sua riflessione sul significato del sacrificio. Che interesse ha l’uomo quando assume la postura del cammello, sacrificando la vita al dovere? Nietzsche affermava che c’è qualcosa di tremendo e angosciante nell’espressione della propria libertà.
E’ dunque possibile preferire le catene alla libertà? Si, ciò può accadere quando il peso più ingombrante è proprio la capacità di vivere la libertà. Il cammello preferisce il peso del dovere, in quanto più leggero di quello della libertà, perchè in questo modo è sollevato dal peso della responsabilità.
Nella prospettiva-cammello, il compimento del sacrificio non implica una perdita. Al contrario, esso verrebbe effettuato proprio al fine di ottenere un guadagno. Il sacrificio, nel suo nucleo più intimo, porterebbe sempre con se un’economia rivendicativa.
E per chiarire questo aspetto, Recalcati fa riferimento alle dinamiche psicologiche del vittimismo. A suo avviso, non ci sarebbe nulla di più rivendicativo dell’umiltà ricattatoria del vittimista. Questo atteggiamento avrebbe come scopo quello di porre l’altro in posizione debitoria. Il vittimista ambirebbe ad ottenere un vantaggio ponendosi in una condizione creditoria grazie alla sua sofferenza.
Il significato “economico” del Sacrificio
L’esperienza umana del sacrificio porta con sé un’economia di natura sacrificale. Deriverebbe, almeno in parte, anche dal dominio di una cultura che in buona parte ha interpretato il logos biblico in maniera colpevolizzante e sacrificale.
Mortificando la propria vita, ricorda Recalcati, una vita che non vale nulla, sarà possibile avere una vita più piena e più vera in un regno ulteriore. Sacrificando la vita presente, ci si garantisce un risarcimento per la vita futura. Lo spirito del sacrificio implicherebbe dunque un’economia risarcitoria.
E la questione fondamentale sarebbe l’incapacità di distinguere il significato di sacrificio da quello di donazione. L’esperienza della donazione non potrà mai in alcun modo essere sacrificale. L’esempio del ruolo della madre, proposto da Nietzsche, ne sarebbe un esempio. In ciò che la madre offre al figlio non vi è nulla di risarcitorio. Non vi è nulla (salvo le inevitabili eccezioni) che possa far individuare nel comportamento della madre un “investimento” finalizzato ad un vantaggio personale futuro.
La gratificazione derivante dalla donazione è insita nell’atto stesso della donazione, mentre il sacrificio si realizza solo nel differimento del suo guadagno attraverso il risarcimento futuro.
Scoprire un nuovo significato del Sacrificio
Secondo Lacan, esisterebbe una sola possibile domanda in relazione ai concetti di bene e male: “siamo stati in grado di agire in conformità al desiderio che ci abita?”. Il peccato non sarebbe definibile in termini di trasgressione rispetto ad una legge esterna al desiderio. Esso costituirebbe invece proprio la trasgressione della legge del desiderio medesima, un venir meno alla propria vocazione unica.
Si tratta in sostanza di assumersi la responsabilità di realizzare il proprio potenziale, rinunciando al privilegio di poter collocare sé stessi in una posizione di accettazione passiva o, peggio ancora, nella pretesa di un risarcimento futuro.
E per concludere quest’ultima riflessione di Recalcati ricavata dagli insegnamenti del suo maestro, varrebbe forse la pena notare che il concetto di adesione alla propria vocazione sembra richiamare quello di “Daimon” di Hillman, ovvero quel fine ultimo che costituirebbe la ragione medesima del nostro esistere.
Ma sarebbe forse interessante individuare un’analogia anche con questi versi danteschi:
“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza”.
Una vita che sceglie di anteporre il sacrificio di tipo economico, rinunciatario, difensivo o addirittura ricattatorio e retributivo è una vita che rischia di allontanarsi dal proprio desiderio, dalle proprie virtù, dal proprio Daimon o, più poeticamente, dalla propria vocazione.
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